Walter Mazzarri? Al massimo chiamate l'Esorciccio!
di Andrea Carpentieri
La parola ben scritta affascina, avvince, abbacina, convince; la parola ben scritta sa farti immedesimare in quel che leggi, sa rendere reale, concreto, vivo, attraente, anche quel che sai estraneo a te: Vecchioni ha soavemente cantato di "poeti che spostano i fiumi con il pensiero", duemila anni dopo che Cicerone - nel difendere Archia - aveva ricordato che alla voce del poeta "montagne e deserti rispondono (...), persino gli animali più feroci diventano mansueti e si fermano al suo canto".
Stando così le cose, nessuno si meraviglierà nell'apprendere che ieri sera la mia povera moglie abbia dovuto a viva forza strapparmi da una sedia di legno alla quale mi ero avvinghiato: e già, perché la lettura dello splendido pezzo di Enrico Ariemma sul soldato Walter, visto che sono fra quanti si sganasciano al cospetto delle disavventure del toscano, aveva prodotto in me la convinzione di essere un castoro, uno che rosica. Siccome, per fortuna, molto può la bella scrittura, ma ancora più può la parola di colei che è "amata da me quanto mai nessuna sarà amata" (aridaje co' Catullo), ho dato ascolto alla consorte che mi gridava: "Tu non sei un castoro!", ho mollato la sedia - grazie a Dio, prima di arrivare alla parte in ferro - e mi sono messo a pensare, alfine arrivando alla conclusione che no, non rosico, anche se me la rido e me la godo quando a Mazzarri gira storto. Provo a spiegare le mie ragioni.
A me Mazzarri, lo dico come lo voleva sentire Renzo da don Abbondio, "chiaro e netto", non è mai piaciuto. Di sicuro ha avuto meriti importanti nella crescita di alcuni elementi, di sicuro ha contribuito a spingere oltre le loro capacità alcuni giocatori di caratura modesta (Grava, Aronica, Pazienza ed altri), di sicuro ha dato il via alla stupenda parabola evolutiva di Cavani, di sicuro ha fatto un grande lavoro su Zuniga, di sicuro ha aiutato Hamsik a sfruttare al meglio le sue immense doti naturali...
Però, però, però...
Non mi è mai piaciuta la sua mentalità sparagnina, il suo giocare sull'avversario, il suo costante appellarsi a qualsivoglia motivazione esterna per spiegare le sconfitte, con riferimenti particolarmente costanti alla sfiga che rendono per me un mistero insondabile il fatto che a Napoli lo scorso anno si sia arrivati a parlare, a proposito del Livornese, di illuminismo. Nè quel giocare sui nervi che spesso si tramutava in soffertissime rimonte dell'ultimo secondo mi sembra qualcosa che possa pur vagamente far pensare al secolo dei lumi (almeno, per come lo conosco io): l'immagine simbolo di quelle vittorie in zona Cesarini è per me l'1-0 rifilato al Lecce, al termine di una partita inguardabile, grazie ad un entusiasmante ed entusiastico - in senso etimologico - salvataggio sulla linea compiuto da Grava, cui fece seguito una meravigliosa (e romanticissima!!!) cavalcata di Cavani.
Già, Cavani: e poi il primo Quagliarella, Lavezzi, Hamsik, un Maggio in condizioni scintillanti, uno Zuniga su cui si lavorò, ma che di suo pure aveva tanto, e speriamo ancora ne abbia; un Campagnaro solido e forte, un Berhami in piena forma, un Paolo Cannavaro che, nonostante qualche topica, ha dimostrato di poter stare a certi livelli... Insomma, se è giusto dire che sul campo il Walter lavorò in maniera apprezzabile, non so se arriverei a dire che abbia fritto il pesce con l'acqua: non sarà l'ottimo olio cilentano al quale sono abituato, ma neppure era acqua...
E ancora, quello scaricare la squadra (con contestuale auto-assoluzione e prospettica, potenziale auto-celebrazione) affermando che in fondo gli azzurri erano da settimo posto per monte ingaggi; quel tirare in ballo l'anno sabbatico, quel dire che tutto sarebbe stato chiaro dopo Bologna-Napoli, e ancora quel rimandare la chiarificazione al post Roma-Napoli: insomma, quel suo mancare di rispetto ai tifosi, all'ambiente tutto...
Se ci ripenso - e con un distacco ben maggiore di quello che in fondo per Tacito rimase allo stadio di premessa, promessa, auspicio, e nulla più - conto troppe cose di Mazzarri che non mi sono piaciute: atteggiamenti, frasi, comportamenti, che me lo hanno reso antipatico e che, uniti alle riserve di tipo più squisitamente tecnico, hanno fatto sì che, al momento del discidium, al momento della separazione, io non abbia provato alcun dispiacere. Non avendo mai amato Mazzarri, non avendo sofferto per il distacco da lui, non avendolo mai rimpianto, non avendo sentito neppure per un secondo la sua mancanza, non essendomi sentito tradito ma solo offeso, penso di poter affermare che le grasse risate con cui da mesi accompagno le risibili esibizioni dell'Inter nulla hanno a che fare con il rosicamento nei termini in cui l'inarrivabile penna di Enrico Ariemma ha definito il sentimento in questione. E invece proprio nel "ma comme 'o schifo a cchillo" citato da colui che ho ribattezzato il mahatmazzurro mi sembra di individuare l'espressione che meglio rende l'idea del mio rapportarmi all'ex allenatore del Napoli: quando pronuncio quella frase, e non solo nel caso di Walter, sia chiaro, provo a dare voce ad un sentimento di antipatia profonda verso qualcuno che non vorrei nella mia vita, figuriamoci - cosa assai più sacra - sulla panchina del Napoli. E allora, almeno per come vivo io il rapporto con il Wa(l)te(r) di San Miniato, voglio ridermela e godermela in serenità, visto che non c'è un fantasma da esorcizzare ma solo uno che mi sta sulle scatole e le cui disavventure (mai le disgrazie) mi fanno scompisciare dal ridere. Napoli deve crescere e crescerà, ma intanto ridiamo, quando possiamo, perché "di doman non c'è certezza": il Milan ha vinto e si avvicina, hai visto mai che al cicciobello gli parte la brocca e lascia a Walter tutto il tempo di andar per librerie?