Caro Diego, l’Argentina non ti ama come noi: leggi qua
di Francesco Pacifico
Caro Extranapoli, uno deve arrivare fino alla fine del mondo (nel vero senso della parola) per scoprire che della vita, del calcio e della geopolitica non ci ha capito una mazza. Ho quasi vergogna a dirlo, perché certe verità vanno sussurrate per pudore: noi napoletani amiamo Diego Armando Maradona più degli argentini. Perché soltanto sotto il Vesuvio si guarda al Pibe come si confà con un essere superiore.
Siamo cresciuti sognando la frontiera di Boca. Abbiamo vagheggiato una terza via peronian-castrista marchiata in un tatuaggio del Che da ostentare. E di Villa Fiorito avremmo fatto un luogo dell’anima tra Macondo e Christiania. Poi arrivi a Buenos Aires e fai la fine di Togliatti di fronte al terrore stalinista: ti senti uno stronzo, capisci che ti sei solo illuso. Qui Diego è soltanto un ex calciatore.
Come le isole greche che si contendono la tomba di Omero, dovremmo essere soltanto contenti e rivendicare che Napoli è la vera casa di Maradona. E invece no, prevale l’amarezza. E si rimpiange Soriano, che aveva capito tutto e diceva che Maradona esiste soltanto per la gloria di Dio.
E solo Dio sa quanta gloria ha dato all’Argentina. Questo popolo di ingrati, appena pronunci “El Diez”, ti gela con uno squallido “noi guardiamo anche alla persona”. Ecco due ragazze di un Havanna (gli Starbucks locali) che ti fanno notare che “Diego picchia le donne”. E loro insistono pure quando tu provi a spiegare che in realtà è tutta una montatura dei servizi americani e che il protagonista di quel maledetto video è Lalo.
A domanda “dove vive Maradona?”, il tassista medio ti risponde annoiato: “a Dubai”. Ed è lì, sgozzato dai talebani, empio motorista che dovresti finire.
Al museo della Bombonera la statua di Riquelme – sì R-i-q-u-e-l-m-e – è il doppio di quella del nostro eroe. E luccica di più. Come se al San Paolo avessero ritirato la numero 10 per Benny Carbone…
Le verità di Rocio (stronzette dell’Havanna, la sposa!) il Clarin le pubblica a pagina 34. Quando in ogni buona famiglia napoletana c’è sempre qualcuno che nasconde (dai ladri) la copia di Gente dell’87, dove Heather Parisi offre al popolo le acrobazie dell’hombre vertical. È miseramente deserto lo stand all’aeroporto di Ushuia con le maglie della Rivoluzione del 1986.
A un’ora da Capo Horn e tra leoni marini stomachevoli e puzzolenti, la mente studia vendetta, il disgusto è insopportabile. I ricordi dei due scudetti sono l’unico balsamo. Perché qui il default è prima morale che economico. Si meritano Cristina, Violetta e il FernetYCola con il quale si sballano, questi traditori. Vi ha fatto vincere un mondiale, vi ha restituito le Malvinas, ha smascherato i predatori brasiliani (Havelange e Pelé) della pelota e voi ancora a bollarlo come un Negro arrogante e arricchito, bravo a figliare come i suoi antenati chini. Come se Carlos Gardel non avesse vissuto con una pallottola nel polmone, una quattordicenne nel proprio letto e l’onta di una condanna giovanile.
Quando stai per esplodere, per coprire l’obelisco con un murales del Dies degno di quello dei Quartieri (comprensivo di finestrella abusiva) ecco che incontri uno diverso dagli altri. Gli chiedi cosa visitare nella parte nord di Buenos Aires e lui ti scrive su un foglietto: Segurola Y Habana, Villa Devoto.