Cari amici moralisti, su Diego ora non potete dire piu' niente
di Francesco Bruno
Non c’è niente da fare, compare lui e i ricordi scacciano qualunque ombra. Lo dico da anni, per me vedere e sentire Diego in tv è sempre una piacevole sorpresa, un po’ come quando incontri un amico che non senti da un po’. Sai che c’è sempre, e i ricordi, patrimonio di una vita, riaffiorano subito. E così, lo vedi in campo a 56 anni per la Partita della Pace e ripensi subito ai sette anni trascorsi insieme, lui nel rettangolo verde e una città intera sugli spalti. Ripensi al 3 novembre del 1985, al suo graffio maligno che spezzò l’incantesimo Juventus. Ti ritorna in mente la straordinaria tripletta in Napoli-Lazio del suo primo anno napoletano, la rete su calcio d’angolo, ma soprattutto il pallonetto memorabile che indirizzò verso la porta di un incredulo Orsi. Rivedi nella memoria il gol impossibile realizzato nel campionato successivo contro il Verona, quel pallonetto impensabile calciato da cinquanta metri, colpendo con l’esterno sinistro il pallone mentre gli rimbalzava davanti e la porta era lontanissima.
Ricordi che riemergono puntualmente, dunque. Ma soprattutto gesti calcistici universali consegnati alla storia per raccontare ai posteri di cosa è stato capace il calciatore piu’ forte di tutti i tempi. Che fuori dal campo, bisogna riconoscerlo, non ha mai fatto molto per fermare la macchina del fango che puntualmente gli è stata azionata contro. Sono principalmente due le obiezioni che i soliti moralisti tirano fuori da anni ogni volta che si torna a parlare di Diego: la sua (presunta) evasione fiscale e la questione della paternità di Diego jr.
La sua vicenda fiscale è ormai chiara. La Commissione Tributaria Provinciale e la giustizia penale hanno da tempo smontato la teoria dell’evasione fiscale. E già nel 2013 “Libero” analizzò la situazione tributaria di Maradona, scagionandolo dall'accusa e spiegando i motivi del mancato ricorso. Allo stato attuale - in attesa che venga discusso in Tributaria Regionale l'ennesimo appello presentato da Agenzia delle Entrate e Equitalia - Maradona è innocente. La sua colpa è quella di non essersi difeso nei tempi e nei modi consentiti perché non è stato messo dal fisco in condizione di farlo. Quindi ha sostanzialmente ragione ma formalmente torto perché, non per colpa sua, ha fatto valere le sue ragioni troppo tardi. Cose da azzeccagarbugli, che pero’ sono servite a giustificare il teatrino di finanzieri e messi notificatori che andava in scena qualche tempo fa quando El Pibe atterrava in Italia. E che ormai sono argomentazioni buone solo per quelli che non si danno pace per il fatto che lui, il piu’ grande, non abbia vestito maglie a strisce ma quella azzurra del Napoli.
Sulla vicenda della sua paternità disconosciuta anche uno come me, che ai tempi del liceo - invece di avere appeso in camera il poster del Duce, del Che o di Jim Morrison - aveva come unica ideologia credere in Diego, si è sempre trovato in grossa difficoltà nel ribattere. Come poteva lui, che nel pugno alzato al cielo dell’Azteca e del San Paolo ha racchiuso tutti i possibili significati della riscossa calcistica e metacalcistica contro il potere e le ingiustizie, essere così ingiusto nei confronti di quel figlio identico a lui? Oggettivamente era indifendibile, anche per me. Ecco perché le immagini di questi giorni trascorsi in continua compagnia del ritrovato Diego Armando jr., tra un allenamento in palestra e una visita a Papa Francesco, costituiscono la copertina di questa sua permanenza italiana. Questa vicenda era un tessera mancante nel mosaico della sua grandezza. Ora il puzzle è composto e tutto finalmente ha trovato un suo equilibrio.
Adesso agli amici moralisti sempre pronti a provare ad offuscare il suo mito -probabilmente perché costretti a guardare le sue imprese davanti alla tv mentre noi ce lo siamo goduto per sette anni al San Paolo – non resta che dire: fatevene una ragione, su Diego ora non potete dire piu' niente. E vi dovete stare.