La Supercoppa "malata" al centro di Napoli
di Peppe Napolitano
Premetto che le righe che seguiranno potranno rischiare di apparire un po’ autoreferenziali e di questo vi chiedo scusa preventivamente.
La serata di ieri l’avevo sognata esattamente com’è andata e in parte l’avevo anche scritto alla vigilia su queste pagine.
L’appuntamento era fissato e organizzato da tempo: per il tradizionale scambio di auguri natalizi dei Malati Azzurri si organizza il 22, riservando una sala del Pomodorino, a 50 metri da Piazza Trieste e Trento, per vedere la partita e poi cenare.
Tutti muniti di sciarpe e ognuno con i suoi riti apotropaici: si parte. Iniziamo bene ma il pasticcio Lopez Albiol Kuolibaly non ci abbatte e i ragazzi, dopo un momento di sbandamento, riprendono come avevano cominciato, facendo loro la partita. Capitan Marek è in palla e prende il palo: nel frattempo arriva Loredana con il fratello a cui chiediamo di ripetere l’entrata, vista la bella azione prodotta.
Nel frattempo iniziano i cambi dei posti, un vero e proprio rituale scaramantico a cui Gino dà il via passando dalle retrovie in avanti, piazzandosi vicino a me, Vincenzo e Carlo. Issiamo la bandiera che Raffaele, venuto appositamente da Torino per vivere la serata con noi, aveva nel primo scudetto. Finisce il primo tempo con il rammarico di aver messo sotto la Juve e per l’errore che ci fa chiudere in svantaggio. Rosario ne approfitta per farci dono di un braccialetto con la scritta “juve merda” che puntualmente indossiamo e che è al mio braccio ancora oggi.
Si riprende senza che mai lo scoramento prenda il sopravvento, fiduciosi di quello che i ragazzi stanno producendo in campo. Higuain rischia di far crollare le mura della sala con un colpo da maestro colpendo il palo. Quando de Guzmàn, con una azione imperiosa, salta il difensore, lo accompagniamo con lo sguardo e con le urla lo spingiamo avanti. Dopo lo stacco perentorio e sontuoso di Gonzalone è un boato, abbracci e urla che coinvolgono anche i più tranquilli come Bruno e signora. Intanto, anche chi è simpatizzante ma non è affetto dalla malattia, si sente sempre più coinvolto come Alessia, Emanuela, Ilaria e Alberto. Palla al centro, l’adrenalina sale sempre più: Pasquale si alza continuamente dal suo posto, Gianfranco è solitamente tranquillo, Marco, che arriva da Milano, si agita al suo posto con l’altro Marco e Fabrizio.
Tempi supplementari e la gran giocata di Tevez ci abbatte ma non ci deprime anche perché si capisce subito che i ragazzi ci credono e noi con loro. E così, quando Gonzalone si ripete, siamo uno sopra all’altro e le coronarie di qualcuno iniziano a dare qualche campanello di allarme. Gino continua a cambiare posto e anche il compassato Gianluca dà segni di irrequietezza per non parlare di Enrico, Lucia e Maria, con Lina, la più agitata, ma al tempo stesso la più razionale nella sua saggezza ed equilibrio e con Mariateresa e Maria Pia che cominciano a dare segni di fermento insieme ad Antonio.
Iniziamo i rigori e quando Giotto lo sbaglia Carlo dà voce a quello che tutti pensano e cioè che la legge del calcio vuole che chi sbaglia il primo vince poi la serie. Ad ogni rigore il groppo alla gola si ingrandisce sempre più o per rabbia o per gioia. Nei match point che la Juve ha, Marcella profetizza ad Ilaria che li sbagliano e che Rafael para e cosi è anche su quello di Padoin, dando il via al delirio, con una baraonda che non si placherà più. Con gli occhi lucidi di diversi di noi, usciamo fuori e via ai canti dal tradizionale “o juventino ciuccia…” a “chi non salta juventino eh..” al “ O’surdat ‘nnammurat”. Il nostro pensiero va subito a chi non è potuto esserci e così Renata avvisa Fefè, in aereo in quei momenti, via sms. Gli altri telefonano ad amici e parenti ed io chiamo e ricevo telefonate dai miei amici del gruppo di “Didi Vavà e Pelè site ‘a guallera ‘e Canè”. E ci mancano gli abbracci e le lacrimucce dei nostri esuli come Boris, Ernesto, Gianluca, Gianfranco, Francesco, Annalisa, Ilario e A’Sleepless Mind. O come quelli che, pur non potendo esserci, sono voluti passare solo per abbracciarci dopo la vittoria come Lorenzo e Gianluca. O di chi è rimasto in contatto con noi telefonicamente come Luisa e come Mirtilla, che ha rischiato di partorire in anticipo, e famiglia.
Così come mi commuove il piccolo Fede Ariemma che mi manda un saluto attraverso il cellulare del papà Enrico perché mi ha riconosciuto in una foto.
Con molta fatica iniziamo la cena, ma a parte Chiara e pochi altri, non c’è molta voglia di mangiare, sentendo i primi caroselli che iniziano a impazzare a pochi metri da noi. E così non resistiamo e appena finisce il primo piatto con Carmine, Renata, Gino, Alessandro ed Enrico ci fiondiamo senza giubbini, e solo con le nostre sciarpe, in Piazza Trieste e Trento già bloccata… e chi se ne frega delle salsicce e friarielli che perdiamo. E lì l’emozione è ancor più grande nonostante la chiusura, per restauro, della fontana in cui nell’anno del primo scudetto feci il bagno.
Ma simbolicamente non ci rinuncio e salgo, raggiunto poi da Enrico e Renata, sulle prime impalcature che delimitano i lavori e nel mentre saltelliamo mi sento afferrare alle spalle al grido di “nella mia vita ci sono solo due colori…” da Luca, fondatore del “Club Napoli Paris S.Gennar”, insieme a Donatella e al loro amico Roberto. La commozione e il groppo alla gola diventa sempre più immensa, pur continuando a cantare e saltellare.
Chi legge queste righe, e non è affetto da malattia azzurra, non si sforzi di capire quell’afflato che ci lega, quel soffrire e gioire insieme per quel che può apparire solo uno sport. Non provateci nemmeno a darvi e a cercare una spiegazione perché non la troverete e non capirete mai la poesia che è dentro di noi e il nostro modo di vedere, leggere il “mondo” e quel che ci circonda, guardandolo con il colore dell’azzurro.