di Antonio Moschella
L'arbitro fischia. Lo sguarda si sgrana, vuoto. E fuori inizia a piovere. E d'improvviso una serata che caricava su di sé le aspettative di milioni di persone, tra le quali te stesso, si trasforma in una tempesta dentro e fuori. E a testa bassa torni a casa senza nient'altro da chiedere.
Il giorno dopo è doloroso, forse ancora di più. La notte insonne, una costante anche in occasioni più felici, è un circolo infinito di pecore che girano senza conti, come una mandria di dubbi esistenziali che bloccano l’ottimismo e facilitano, purtroppo, un pensiero disfattista e logorante. Adesso non dipende più da noi e la Juve sembra davvero imbattibile.
Il giorno dopo ha il sapore della ragazza che ti lascia senza nemmeno uno schiaffo, ma con una tagliente e acuta frecciatina, proprio come quell’innocua pietra calciata da Zaza, trasformata in un masso pesantissimo dal povero Albiol, fino a quel momento quasi perfetto.
Il giorno dopo è la sbornia dell’ultratrentenne, che si sente al tappeto per un giorno intero, con la testa che rimbomba manco vi suonasse all’interno un’orchestra rusticana. Perdere così, dopo aver spaventato i campioni d’Italia in carica a casa loro, dopo aver preso in mano il gioco e dopo che loro stessi si fossero chiusi a riccio dietro, è un malessere che perdura.
Il giorno dopo è la sensazione di vuoto che hai al 93esimo, quando i tuoi amici, spaventati dalla pioggia, si tirano indietro e ti negano qualsiasi tipo di sfogo o chiacchiera in compagnia per smettere di pensare. Una solitudine simile a quella di Higuain al centro dell’attacco bianconero. Parafrasando Osvaldo Soriano, una sensazione di triste, solitario y final.
Il giorno dopo è il sangue amaro che fuoriesce da una ferita fresca, apertissima, spalancata, che deve richiudersi quanto prima. Iniziando da giovedì a Villareal. Perché se vincere aiuta a vincere, bisogna riprendere a farlo quanto prima.