Basta con il politicamente corretto: il silenzio stampa è l'unica risposta

Il Napoli non parla con i giornalisti italiani. E ha ragione quando, nel comunicato con cui conferma questo stato di cose, dice che non scontenta i tifosi. Che vogliono vincere, non sentire risposte imbarazzate a domande, nel migliore dei casi, stupide
  • sscnapoli

    di Boris Sollazzo

    Il calcio non è uno sport per signorine. Quante volte l'avete sentito dire? Eppure continuiamo a reagire come educande timorose e timorate ogni qualvolta il finto galateo del pallone viene infranto da qualcuno che intende fare i propri interessi, guarda un po', e non quelli altrui. Qui a Extranapoli ne abbiamo avuto una dimostrazione plastica: l'hashtag #bastarafael è stato massacrato dai radical chic del tifo, ma ora Andujar è meglio 'e Pelè. E nessuno si sogna più di scrivere nulla in proposito alla nostra presunta barbarie.
    Il Napoli è una squadra di calcio ma, come tutte le altre partecipanti ai campionati professionistici, è anche un'azienda, un'impresa. E negli anni ha inanellato successi difficilmente contestabili: siamo la squadra italiana con la seconda migliore posizione nel ranking Uefa, non dovremo subire l'umiliazione di una rosa castrata nelle coppe dalle pene di un Fair Play finanziario non rispettato, da quando si è in serie A solo una volta non si è andati in Europa. Per tacere di tre coppe e del fatto che dopo il Milan, siamo gli unici nel firmamento tricolore a essere andati a fare la spesa nella boutique costosa del Real Madrid. 
    Eppure tutto questo non serve per farsi rispettare. Già, perché la dimostrazione della bontà di una scelta come quella del silenzio stampa sta proprio nel modo in cui i media italiani l'hanno commentata. Hanno parlato di "scaramanzia", prima per il ritiro e poi per il black-out delle interviste.
    Siamo napoletani, in fondo, no? Se la Littizzetto può paragonarci agli Attila del Feyenoord, perché le pay-tv non possono deriderci bonariamente per la nostra inclinazione a credere nella sorte e nei suoi riti? In fondo, sotto sotto, noi del Golfo siamo sottosviluppati no, tutti pizze fritte e San Gennaro, no?
    E invece, guarda un po', siamo la società più seria e più solida della serie A. Non siamo più quelli di ingegneri pittoreschi e "banchidinapoli", di politici-potenti che regalavano ai cittadini le scarpe a rate, di exploit economici e rovinose cadute. Siamo maestri nella programmazione, siamo gli unici ad attirare alte professionalità: uno dei migliori allenatori europei, il bomber più forte del mondo dopo Ronaldo e Messi, il vicedirettore di Sky Sport a curare la comunicazione. E così via. 

    Niente scaramanzie, semplicemente, come dice il comunicato "il Napoli è una società in crescita e prende le decisioni che ritiene più giuste per il bene della propria attività. Se un'azienda decide che la comunicazione esterna sotto forma di interviste non è, in un determinato momento, appropriata per gli obiettivi che si propone, non concede interviste". Una di quelle frasi che se le scrivesse la Juventus, parleremmo di geniale strategia sabauda, di una macchina da guerra capace di fare quadrato, di risposta ferma a chi mina la serenità e la reputazione dei tesserati. Ma che da noi diventa "macumba".
    E allora basta con il politicamente corretto. Qui si vuole vincere, non ascoltare allenatore e giocatori. Soprattutto se la maggior parte trovano i massimimauri di turno a insultarli. 

    Il Napoli con il silenzio stampa risponde al potere forte delle tv, mentre tutti si appecoronano a chi dà loro i diritti milionari con cui fare il calciomercato (e lo fanno con un direttore della comunicazione che da lì arriva: chi meglio di lui può sapere chi sono e cosa fanno?). Il Napoli è una società così sicura dei propri mezzi e della propria forza da non aver paura di parlare direttamente ai tifosi: con twitter, con un sito che riporta persino i retroscena di spogliatoio (come il confronto post Lazio), che non convoca il ritiro in sordina ma lo annuncia, anche duramente, per bocca del suo presidente. Il Napoli con il silenzio stampa non si nasconde. Si rifiuta di seguire le logiche televisive: opportunistiche, campanilistiche, faziose. Il Napoli non ha Mediaset o Fiat o Tod's (o patti di sindacato nei quotidiani) a fare da scudo, non ha Unicredit che ne segue le mosse (anzi), non ha partnership con giornali sportivi, non ha presidenti che fanno da badante al numero uno della FIGC. 
    Il Napoli deve difendersi da solo. Deve proteggere i suoi interessi, la sua dignità, la sua immagine senza nessuno accanto. E quando ci prova ad associarsi ai potenti - vedi Tavecchio - riceve in cambio ben 10 errori arbitrali in 8 partite. 
    A volte, allora, serve chiudere la bocca, per far capire a tutti quanto ciò che esce da quella altrui sia imbarazzante. E almeno noi dovremmo capirlo. Ma più che #spallaaspalla a noi piace andare avanti a prenderci #aspallate.

    State zitti, tutti, da Rafa a Marek, e vincete per noi. E parliamo noi tifosi, magari, per ribellarci a chi vuole sempre vederci come una città di serie B. Come una squadra da prendere in giro. O davvero vogliamo parlare con chi pensa che la maglietta di Genny 'a Carogna sia più grave di uno sparo che uccide un ragazzo? Di chi parla di treni mai devastati? Di chi dà del disonesto al nostro mister? Di chi mette in prima pagina la bomba carta dell'Olimpico senza mai scrivere la parola Juventus? Di chi fa finta che non esistano gli striscioni contro Antonella Leardi, salvo poi tornarci su dopo la rivolta dei social? 

    Viva il silenzio stampa, dunque. Perché parlare alla stampa italiana è più autolesionista di far giocare Rafael Cabral e Jonathan De Guzman. 

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