Omar Sharif, un principe napoletano
di Nello Del Gatto
“Scendo subito”. Sono state queste le prime parole che mi ha rivolto. Io non avevo partecipato alle riprese del film tra Napoli, Procida e Portici perché stavo in India, era un periodo di intenso lavoro post tsunami, attentati in Pakistan ed elezioni in India. Ma avevo partecipato alla produzione, messa in campo da Sergio Scapagnini, a cui mi legava la stima e la riconoscenza per la precedente opera “Vrindavan Film Studios”, un profondo amore per l’India e ancor più profondo verso Napoli e il Napoli. L’estate precedente a Procida avevamo lavorato molto per la partecipazione di “Fuoco su di Me” a Venezia. Non potevo mancare. E così andai e mi toccò andarlo a prendere al Danieli. “Scendo subito”, mi rispose, con quell’affascinante accento che avevo imparato a conoscere proprio grazie a “Fuoco su di Me”. Già perché lui, per la prima volta nella sua luminosa carriera, aveva deciso di girare e doppiarsi in italiano. E io che avevo visto e rivisto i tagli, il girato e il montato del film, sentivo oramai familiare quella voce. “La gentilezza è la nostra forza”, dice ad un certo punto il suo personaggio, il principe Nicola, un po’ Raimondo di Sangro, un po’ nonno amorevole. Lui era gentile, anche se aveva spesso scatti d’ira: lo sa bene un parcheggiatore di Los Angeles al quale, come mancia, lui diede prima 20 euro e poi, dopo che il parcheggiatore si lamentò perché non conosceva il valore della moneta europea, una serie di calci. Ma con me fu gentile. Affascinante lo era: alto, la barba rada e i capelli bianchi all’indietro. Vedendolo e ricordandomi la sua storia personale, mi vennero in mente i sei mesi che avevo passato a studiare il Copto per tradurre alcuni testi cristiani durante l’università. Ci sedemmo ad un tavolino, prendemmo da bere e scambiammo quattro chiacchiere. Mi chiese subito di dove ero e si illuminò quando gli dissi che ero di Napoli, città che amava. Il nostro colloquio venne interrotto continuamente da tanta gente che veniva a salutarlo, amici e fan. Semmai ce ne fosse stato bisogno, capii in quel momento quanto significasse per il cinema mondiale. A me non veniva in mente, come a tutti, Zivago o Lawrence d’Arabia. Ma il principe Rodrigo in “C’era una volta…” di Francesco Rosi e, ancor di più, l’agente segreto egiziano de “La Pantera Rosa sfida l’ispettore Clouseau”. Qui entrava e usciva dal letto di un agente segreto russo. Fantastici entrambi. Andammo alla conferenza stampa, poi alla prima, poi alle premiazioni (a Venezia rastrellammo due importanti premi, e molti altri sarebbero venuti dopo). Era innamorato di Napoli. In conferenza stampa disse che “un film così bello non avrei potuto non girarlo” e lo riteneva il suo omaggio a Napoli. Città della quale amava tutto, tanto da difenderne i colori nei campionati mondiali di bridge, gioco nel quale eccelleva. Arrivò anche a dire, quell’anno che eravamo al secondo di De Laurentiis e di C, che se il film fosse andato bene, avrebbe regalato qualche giocatore al Napoli. Era generoso. Il film era di basso budget ma si voleva Sharif. Il tema era la gentilezza e la sua prova in “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” aveva convinto Lamberto Lambertini, il regista di Fuoco, che lui doveva essere il principe Nicola. Sergio era preoccupato per il compenso, che avrebbe inciso sul budget. Il copione gli era stato inviato tramite il suo agente, ma non c’era mai stata nessuna risposta. Fino a quando Il Mattino non titolò “Sharif: il mio prossimo film sarà napoletano”. Caspita, pensò subito Sergio, ce lo hanno soffiato. Invece no: lui, ospite a Capri della rassegna cinematografica, aveva annunciato la sua partecipazione a Fuoco pur senza aver parlato con nessuno. Partì la spedizione per Capri, preoccupati soprattutto del compenso. Lui non fece parlare: questo film non posso non girarlo, datemi quello che potete e mise come condizione che fosse trattato come gli altri attori e che gli permettessero di recitare in italiano. Voleva girare a Napoli. Voleva Napoli. Addio, Omar Sharif, principe napoletano.