Roma-Napoli, un gemellaggio tra luci e ombre (seconda parte)
di Errico Novi
È negli anni Ottanta che il fenomeno ultrà conosce la sua età dell’oro: affermazione ripetuta e condivisa spesso. Ma può essere vero solo per alcuni aspetti: non si possono dimenticare i fatti anche tragici che in quel periodo segnano le curve italiane. Quei fatti portano i nomi dei tifosi che tra il ’79 e l’89 perdono la vita negli stadi: Vincenzo Paparelli, Stefano Furlan, Marco Fonghessi, Nazzareno Filippini, Antonio De Falchi. È vero comunque che nella stagione compresa tra il trionfo italiano ai Mondiali di Spagna e quel grande spartiacque della storia del tifo costituito da Italia 90, gli ultrà diventano addirittura una moda. Così come è incontestabile che dal Mondiale italiano in poi la militarizzazione degli stadi compromette quello “spettacolo nello spettacolo” a cui le tifoserie avevano dato vita per almeno un decennio. Le vicende del gemellaggio tra Napoli e Roma procedono in modo parallelo alla parabola del fenomeno ultrà: da abbraccio festoso a intreccio di diffidenze e settarismi vari. Un’involuzione accompagnata da questioni mai chiarite fino in fondo.
La fine del gemellaggio? Porta anche la firma dei Boys Roma
La più controversa riguarda senz’altro la fine del gemellaggio, avvenuta nel Roma-Napoli del 25 ottobre 1987. Sulla successione degli eventi di quella strana domenica abbiamo già scritto in un precedente articolo. Qui vogliamo aggiungere un aspetto segnalato dal collega di Teleroma 56 Patrizio Cacciari. Si è detto dello scambio di vessilli regolarmente avvenuto sotto la curva Nord gremita di napoletani e, subito dopo, platealmente rifiutata sotto la Sud dal portabandiera giallorosso. Va ribadito, ancora, che il gestaccio rivolto a fine partita da Salvatore Bagni alla curva romanista arriva a cose fatte: il colpo di scena tra i portabandiera infatti si verifica prima della gara. Cacciari ricorda piuttosto come alcuni anni dopo dopo il quindicinale Supertifo pubblicherà un articolo in cui di fatto i Boys Roma rivendicano il “merito” di aver fatto saltare il gemellaggio. È un elemento interessante. Forse non esaustivo – il resto della tifoseria giallorossa asseconda immediatamente la decisione di rompere tutto, e andrebbe chiarito perché – ma certo utile. Che il problema tra capitolini e partenopei riguardasse infatti anche le divisioni interne alle due tifoserie, è una certezza più che un’ipotesi.
Alle origini dell’amicizia: le curve del San Paolo “aperte” ai giallorossi
Se si riavvolge il nastro e si torna all’inizio, si deve ricordare come nei primi anni Ottanta il clima tra romanisti e napoletani fosse semplicemente idilliaco. All’Olimpico ci si scambiano bandiere e cori di incoraggiamento: i “Roma-Roma” dei tifosi azzurri si fanno tanto più potenti quanto più umilianti sono le scoppole riportate dagli azzurri sul campo. Al San Paolo gli ultrà del Napoli e della Roma si dividono addirittura la curva B: gli striscioni da trasferta del Cucs vengono esposti a fianco a quello del Cucb di Gennaro Montuori. Lo illustrano bene le foto montate in successione nel primo filmato sotto questo articolo. La scena si ripete per almeno tre campionati: dall’81/82 all’83/84. Gruppi di romanisti vengono accolti dai Blue Lions in curva A in occasione di almeno due Napoli-Lazio: lo documentano le immagini di Ivan Cappuccio che potete scorrere cliccando sul lato destro dello spazio foto: la prima si riferisce alla partita vinta contro i biancocelesti nell’85 per 4-0 (tre gol di Diego) e mostra lo striscione piccolo del Cucs al centro della balconata; la seconda è del campionato precedente, con gli ultrà romanisti che espongono un drappo rosso con su scritto “I primi a nascere, gli ultimi a morire”. A pochi metri c’è uno striscione dei Blue Lions molto esplicito: “Laziali, una razza bastarda”. Gli esodi giallorossi verso Napoli si complicano a partire dal primo anno di Diego in azzurro, l’84/85: da quella stagione le curve del San Paolo vanno quasi completamente esaurite in abbonamento. I tagliandi disponibili per la singola partita, e quindi anche per i romanisti in trasferta, si riducono a poche centinaia. E visto l’affollamento, la delegazione del Cucs deve sistemarsi in genere nell’anello inferiore. Nel Napoli-Roma dell’85/86 i capi ultrà giallorossi fanno prima il solito giro di campo con i napoletani (si guardi il secondo video postato qui sotto, tra il minuto 1:00 e il minuto 1:40; i “veterani” riconosceranno nella “foto ricordo” anche alcuni rappresentanti della curva A). Poi i romanisti tornano sugli spalti, addossati alla ringhiera della curva B inferiore. I napoletani di quel settore però sanno poco dei rapporti esistenti tra i gruppi ultrà. Un attimo prima che si scateni la zuffa vengono giù alcuni del direttivo del Cucb, che nel farsi largo ripetono “ce stamm appiccicann cu’ tutt’o munn…”. Circondano gli amici romanisti e se li portano nell’anello superiore per scongiurare il peggio.
La reazione dei Fedayn Napoli, la scissione in curva Sud
C’era insomma un’amicizia davvero fraterna. Ma c’erano pure le sfumature. Nel Roma-Napoli dell’86/87, anno del nostro primo scudetto, pur nella generale atmosfera deamicisiana, la curva Sud scandisce compatta il proprio disprezzo per l’ex bandiera laziale: “Bruno Giordano figlio di…”. La curva Nord affollata dai soliti quindicimila partenopei (altre migliaia sono in Tevere) non risponde. Con l’eccezione dei Fedayn, che ripropongono il coro sostituendo “Bruno Giordano” con “Bruno Conti”. La cosa finisce lì: certo è che, per quanto difficile a credersi, nei quattro-cinque anni precedenti non si era mai verificato un episodio simile. Si arriva così alla rottura dell’87/88. Sulla quale pesa sicuramente la già ricordata iniziativa dei Boys. E più in generale le divisioni che all’inizio di quella stagione si aprono nella curva romanista. Nel mercato estivo il presidente Dino Viola decide di portare in giallorosso un altro laziale doc, Lionello Manfredonia. Il Commando ultrà curva Sud si sdoppia tra Cucs-Gam (dove Gam sta ovviamente per “Gruppo anti Manfredonia”) e Vecchio Cucs. Le due fazioni si dividono gli striscioni, nelle partite all’Olimpico vivono da separati in casa. Altre componenti storiche del tifo romanista come Boys e Fedayn cercano di far sentire il loro peso: da curva più imitata e ammirata d’Italia a vera e propria babele. In una situazione così improvvisamente frastagliata può anche starci che emergano punti di vista diversi sui gemellaggi, e in particolare su quello con i napoletani. Ed è verosimile che alcune componenti della tifoseria giallorossa abbiano approfittato della questione gemellaggi per imporre la propria linea in una curva in cui si è creato un clima molto, per così dire, competitivo.
Dagli abbracci alle botte (con inutili tentativi di riappacificazione)
Nulla sarà più come prima, ovvio. Niente più giri di campo, niente più scambi di bandiere. Anzi, botte da orbi quando capita. Già nel post partita dell’87/88 chi scrive ebbe modo di notare ronde di romanisti nei pressi della stazione Termini che davano la caccia ai napoletani al grido “colera e terremoto/ è sempre troppo poco/ dai, Vesuvio/ lavali col fuoco”. Inutile elencare i successivi casi anche molto gravi di scontri avvenuti più che altro all’esterno degli stadi (se non addirittura lontano anche temporalmente dalle partite tra Napoli e Roma: ci si trova per caso e ci si affronta in autostrada, sui treni…), con il clou del Napoli-Roma 2-2 alla penultima del campionato 2000/2001 (su quella specie di corrida urbana ci ripromettiamo di tornare con adeguata documentazione fotografica). Vale solo la pena di citare l’episodio del Roma-Napoli giocato all’Olimpico il 17 novembre 1991. A dimostrazione che gemellaggi e inimicizie si intrecciano anche con i rapporti personali, in quella occasione Gennaro Montuori tenta un estremo gesto di distensione. A pochi minuti dal fischio d’inizio lui e i suoi Ultrà tirano fuori lo striscione “Onore ad Antonio De Falchi”, in memoria del ragazzo morto nel corso degli scontri tra milanisti e romanisti due anni prima. Gran parte dei 7.000 partenopei di un settore ospiti ridottosi ormai a un terzo dell’intera curva Nord occupata in passato, vedono lo striscione, sentono il coro “Antonio De Falchi” lanciato da Cucb, e lo coprono con i fischi. Montuori si arrabbia e inveisce a sua volta contro i disturbatori, ma al di là del becerume del tutto analogo a quello dei cori “vesuviani” udibili oggi da parte romanista, l’incidente certifica una volta per tutte che un mondo, e un certo modo di tifare, sono finiti per sempre. (2 – fine. Clicca qui per la prima parte)