Marciamo contro gli ultras, per il loro bene. Io che li ho sempre difesi sto con Giulio Spadetta
di Errico Novi
Ebbene sì, caro Giulio, sono d’accordo con te, raccolgo il tuo appello. Io, il più sospettabile di collusione idelogica con gli ultras (almeno qui a Extranapoli), voglio marciare contro di loro. Ma secondo una prospettiva molto diversa dalla tua: e cioè per il bene degli ultras. Nel loro interesse. Lo so, è sconcertante. Ma cerco di spiegarmi meglio.
Io ho nostalgia per il tifo organizzato. Così si chiamava prima. Adesso non più. Non perché oggi sia disorganizzato, ma perché ai militanti delle curve quell’espressione sembra evocare un’eccessiva vicinanza alla squadra. E magari al club. Induce sospetti di pratiche incestuose, insomma. Come vedi siamo alla paranoia. A me piaceva il tifo anni Ottanta. Pure quelli erano ultras, altro che. Erano diventati quasi una moda. Ma appunto erano soprattutto tifosi della loro squadra. Tifosi estremi, non c’è dubbio. Ma “alla base c’era il calcio”, tanto per parafrasare un loro tazebao. Io trovavo quel modo di vivere la partita giusto, legittimo, e lo condividevo. E anzi continuo a condividerlo, quando posso. Quella però era un’altra cosa rispetto alla “ideologia” ultras di oggi.
E se davvero come scrivi nel tuo articolo scendessero in piazza i “tifosi normali” di tutte le squadre, e facessero sentire agli ultras il loro isolamento, magari gli stessi oltranzisti delle curve potrebbero aprire gli occhi. E cominciare a considerare almeno la possibilità di riportare il tifo agli anni Ottanta. Chissà. Tu dici: e che fai, li vuoi redimere, li vuoi salvare? Cioè pretendi che il cosiddetto movimento ultras sopravviva? E certo che sì, ti rispondo. E capisco pure la tua perplessità: tu Giulio, vuoi liberarti per sempre della militarizzazione del tifo. Ti fa orrore la sola idea che possa continuare a manifestarsi questa strana confusione tra l’amore per il calcio e la parodia della guerra. Io dico che c’è un confine, e che si tratta di non superarlo. Puoi anche assumere delle pose pseudoguerresche – nei cori, nella gestualità, negli striscioni – ma se poi ti ricordi che è una finzione. Che si tratta, diciamo, di un’iperbole che comunica sempre la stessa cosa, e cioè che siamo innamorati della nostra squadra. Invece da un certo punto in poi gli ultras hanno dimenticato che era tutto per finta. Hanno confuso l’iperbole con la realtà. Hanno perso i contatti con la “base” – il calcio appunto – e si sono persi nella loro metafora. Perciò hanno smesso di fare cori ai giocatori, e hanno preso a intonarli sempre più spesso ai diffidati, al poliziotto primo nemico, cioè ai protagonisti della loro guerra immaginaria.
Tutto sta a tornare al di qua del confine e a ricominciare semplicemente a essere tifosi. Della squadra e non del “nostro ideale”, come dicono loro. Con l’occasione magari sarebbe pure il caso di archiviare definitivamente la stagione degli scontri paramilitari, che era già in corso nei pur (da me) rimpianti anni Ottanta. Oggi questo è possibile proprio perché la distorsione del tifo in forme rituali pseudobelliche ha squarciato ogni residuo velo di finzione, cioè si arrivati alle armi da fuoco vere e proprie. Che sono tipiche della guerra in quanto tale, non della sua evocazione parodistica. Una deriva che dovrebbe richiamare gli stessi ultras alla necessità di una retromarcia.
Non credo sarebbe un bene se il tifo organizzato scomparisse del tutto. In un modo o nell’altro credo che gli ultras dovremo tenerceli, caro Giulio. Tu ne sarai meno contento di me, lo so. Ma se con la marcia dei 40mila riuscissimo a riprenderci il calcio dei nostri vent’anni avremmo almeno la soddisfazione di tornare ragazzi, o no?
Ps. A parte il nostro punto di vista “borghese”, vale la pena di segnalare che tra gli ultras della vecchia generazione questi problemi sono piuttosto sentiti. I “veterani” non ne possono più della piega che hanno preso le curve, del prevalere dei cori contro la polizia rispetto a quelli per la squadra. Non è un’impressione ma un dato: ho parlato di recente con i rappresentanti di storiche sigle del tifo napoletano, persone che sono state leader dei loro gruppi e oggi se ne sono allontanate. Condividono gran parte delle nostre analisi. Anzi, a pensarci bene siamo noi a convergere verso le loro. E questo rafforza la mia idea che una “marcia dei 40mila” per tornare al “vero tifo” riporterebbe in vita gli ultras anziché cancellarli.