Paolo Rossi e quel rifiuto al Napoli

Il suo "no" ferì una città intera. Cronaca e retroscena di una trattativa rimasta nella storia.
  • di Roberto LIberale
     
    “Papà, ma Paolo Rossi veramente può rifiutarsi di venire al Napoli?”
     
    Era il 29 giugno di trentasei anni fa, un venerdì fatto di ozio, come quasi tutti i giorni dopo la chiusura delle scuole, di ozio sì, ma anche di lettura della “Gazzetta dello Sport” che Don Achille il giornalaio mi teneva da parte nei giorni in cui all’edicola arrivavo più tardi.
    Sì, perché in quegli anni i quotidiani finivano presto. Don Achille aveva la sua edicola sotto la stazione della metropolitana e la mattina in tanti compravano il giornale prima di andare al lavoro. 
    Quasi tutti chiedevano “Il Mattino”, molti “Il Corriere”, che a Napoli era naturalmente quello “dello Sport”, non quello “della Sera”. La “Gazzetta dello Sport” era considerata troppo “del nord”, ma a me piaceva e la compravo spessissimo.
    Però in quei giorni di trattative tra Ferlaino e Farina anche la “Gazzetta” andava a ruba. E l’amico giornalaio, al quale in verità lasciavo settimanalmente intere paghette, non si dimenticava mai di me.
     
    “Robè, e che ne so… fino ad oggi nessuno si è mai rifiutato di venire a Napoli”. Mio padre chiuse la questione basandosi sui suoi ricordi.
    In realtà l’introduzione (sin dal maggio 1978 ) della “firma contestuale” consentiva a Paolo Rossi di rifiutare il suo trasferimento a Napoli, ma non era questo il punto.
    Come mai “Pablito”, capocannoniere della serie A nel 1978 e rivelazione dei mondiali in Argentina dello stesso anno era entrato nel mirino del Napoli? E perché un giocatore come lui non voleva venire a Napoli?

    Le cronache dell’epoca raccontano che Giussy Farina, presidente del Vicenza appena retrocesso in Serie B, doveva assolutamente sistemare il bomber della nazionale in una squadra di Serie A, possibilmente una grande squadra. La permanenza a Vicenza sarebbe stata impossibile visto che oramai Rossi era titolare fisso in nazionale. Il ragazzo aveva espresso al presidente le sue preferenze: o Juve (nelle cui giovanili aveva già giocato) o Milan (campione d’Italia nel 1979).
     
    C’era però un problema: la Juventus aveva fatto svenare appena un anno prima Farina per la comproprietà di Rossi. Infatti, in assenza di un accordo per la risoluzione della comproprietà stessa, si andò alle buste. E clamorosamente il Vicenza offrì la cifra più alta, circa 2 miliardi e 600 milioni di lire.
     
    Ora la Juve restava alla finestra. Difficilmente il suo presidente Boniperti sarebbe andato incontro alle pretese di Farina. Poi storicamente la Juve non partecipava ad aste di calciatori. 
    Il Milan sembrava invece totalmente disinteressato al giocatore.
     
    L'allora presidente del Napoli, Corrado Ferlaino all’improvviso il Napoli piombò su Rossi. L’offerta del presidente Ferlaino era corposa. Si parlò subito di una valutazione intorno ai cinque miliardi di lire.
    Come già accaduto quattro anni prima con l’acquisto di Giuseppe Savoldi, mister 2 miliardi, non appena appurato l’interessamento a Pablito da parte del Napoli, il mondo dell’informazione si staccò dal calcio e si tuffò sui problemi della città partenopea.  
    E fu paradossalmente proprio il sindaco di Napoli, Maurizio Valenzi, primo sindaco comunista nella storia della città, a dare il “la” alle polemiche, tuonando contro il “supercommercio di uomini”. 
    Il battibecco tra sindaco e presidente del Napoli Calcio fu avvilente, tra accuse reciproche ed insulti. 
     
    “Rancori ed odi mai sanati”, scriveva “La Stampa” di Torino, giornale della famiglia Agnelli, che aggiunse prontamente una lista dei problemi di Napoli, quasi che gli stessi potessero essere risolti utilizzando i soldi che Ferlaino stava per spendere per l’acquisto di Paolo Rossi.

    Valenzi si ricrederà alcuni giorni dopo, forse per il timore di divenire improvvisamente impopolare, o forse per la sensazione che le sue frasi potevano aver alimentato le solite critiche verso la città di cui era sindaco.

    Quando il passaggio di Rossi al Napoli sembrò ormai certo, alcuni giornali del nord ci informarono prontamente che i tifosi del Napoli “sull’onda di un cieco entusiasmo, alla notizia dell’arrivo del centravanti vicentino sono accorsi a sottoscrivere abbonamenti… la società ha raccolto fior di quattrini anche nelle sacche della disgregata cintura suburbana…”.
     
    Insomma, una descrizione non proprio tranquillizzante per chiunque avesse già manifestato una certa ansia di rimanere soffocato dall’abbraccio dei tifosi e magari avesse voluto fare della privacy un caposaldo della propria esistenza .
     
    Questo era lo scenario in cui Paolo Rossi, detto Pablito, di anni 23, si trovò all’inizio dell’estate del 1979.
    E' comunque doveroso ricordare che il Napoli era una squadra che non aveva vinto ancora nulla, con grandi aspirazioni ma di fatto una squadra di metà classifica. 
    Lui non credo conoscesse la città. Gli stereotipi intorno a Napoli erano molto solidi.
    Forse si fece consigliare da fidanzata, famiglia, amici e colleghi. Forse pensava che alla fine al Milan o alla Juve ci sarebbe finito lo stesso, visto che in Serie B non avrebbe di certo giocato. Diamine, lui era "Pablito", il centravanti dell’Italia…
     
    Ecco che Paolo Rossi disse di no.
    Disse “sono stanco di fare l’uomo spettacolo, non mi va di essere protagonista a vita”.
    Parlò di “spensieratezza della gioventù”, di “preoccupazione per la sua esistenza”.
     
    Napoli già offesa da chi scriveva di una città “disposta per un’ora di svago a grossi sacrifici, a dimenticare lo stato di emarginazione e miseria”, lo fu ancor di più per non essere stata capita da un ragazzo di 23 anni che si rifiutava di indossare la maglia azzurra. 
     
    Così Rossi non si trasformò in un “San Gennaro del gol, un santino a cui si chiede la vittoria come miracolo ogni domenica”, come scrisse qualcuno dando fondo al più classico campionario di luoghi comuni. 
     
    Di fatto Rossi non volle prendersi la responsabilità di divenire l’uomo simbolo di una squadra in cerca del suo primo scudetto. Non volle sulle spalle il peso di una città sempre in cerca di riscatto, soprattutto attraverso il calcio. 
     
    Paolo Rossi dichiarò di volere essere solo uno degli undici in campo. 
    A Napoli forse sarebbe stato impossibile.
    Però credo che in cambio Napoli gli avrebbe dato un affetto incredibile.
    Come la storia dimostrò con un altro ragazzo, poco più che ventitreenne, appena cinque anni dopo…
     
     

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