La violenza negli stadi argentini
di Sergio Quintana*
Nel nostro paese il flagello della violenza negli stadi o nei suoi dintorni è moneta corrente. Non sorprende ascoltare notizie relative a scontri tra gruppi che sostengono lo stesso club, cui si aggiungono tifosi di altre squadre, così come ogni settimana si registrano incidenti con la polizia.
Le fredde statistiche ci dicono che dal 1939 sono 193 le persone hanno perso la vita per fatti di questo tipo. Il primo caso risale ad una sfida tra Boca e Lanús. Dati allarmanti, che tuttavia tengono conto soltanto dei morti verificatisi in occasione di una partita o di coloro che sono deceduti nelle zone dove la gara si sarebbe disputata. Se invece contassimo anche tutti coloro che sono caduti per questioni comunque collegate al calcio la somma che avremmo sarebbe perlomeno doppia.
La situazione è decisamente peggiorata negli ultimi vent'anni, da quando cioè i "barrabravas" hanno cominciato a spadroneggiare con le istituzioni, stabilendo contatti coi dirigenti che, per paura o per interessi economici, hanno accettato di legarsi con questi individui.
Al peggio non c'è mai fine, così ora questi "tifosi particolari" non si battono più con quelli delle squadre rivali, ma lottano con altre fazioni dello stesso club di appartenenza per ottenere la concessione dei parcheggi durante le gare, la disponibilità dei biglietti d'ingresso e per gestire altri importanti affari che ruotano intorno a simili personaggi.
Se facciamo riferimento all'anno scorso, si sono registrate 14 vittime collegate direttamente o indirettamente con la violenza nel calcio: è stata la stagione con il più alto numero di morti dal 2003. Uno degli ultimi casi mi è capitato di viverlo molto da vicino: quando si è disputato il match tra Estudiantes e Lanús, il 10 giugno del 2013, un tifoso è stato uciso all'ingresso dello stadio della Città di La Plata dopo uno scontro con le forze di sicurezza.
L'arbitro, preso atto di quanto era avvenuto, ha sospeso il match una volta terminato il primo tempo e, da quel giorno, è fatto divieto ai tifosi di seguire le proprie squadre in trasferta. Una misura tuttora in vigore.
Stando così le cose, appare molto difficile venire a capo di un problema che dovrebbe essere risolto alla radice, con dirigenti capaci, una federazione all'altezza di quanto succede e con un intervento politico ed efficace dello Stato: l'unico organismo realmente in grado di risolvere la questione tenuto conto del livello ormai raggiunto dalla violenza.
Da non credere...
Da cinque anni i rappresentanti più in vista (o violenti) di ciascun club si sono organizzati in una Ong chiamata Tifoserie Argentine Unite. Lo scorso martedì pomeriggio, nella totale impunità, si sono presentati alla porta della federazione calcistica argentina (AFA) per richiedere la messa a disposizione di 650 biglietti per potersi recare al mondiale brasiliano. Indossando magliette che erano tutto un programma e facendo un terribile baccano con tamburi e canti si sono schierati sotto la sede federale, al numero 1300 di Viamonte.
Sì, incredibile. Ultras di 38 squadre del Paese (non solo di prima divisione, ma anche di seconda e terza) si sono radunati e hanno consegnato una petizione nella quale reclamano la concessione di benefici, chiedendo inoltre che la giustizia argentina non invii alle autorità brasiliane dati personali dei "barras" con precedenti penali. Ad aprile, il giudice Cecilia Girardi Madariaga de Negri ha rigettato il ricorso presentato da questa Ong e ora costoro stanno cercando in tutti i modi di aggirare l'ostacolo che gli impedisce di prendere parte all'appuntamento del Mondiale. La novità è che undici di questi tifosi sono entrati nella hall del bunker e hanno parlato con il rappresentante dell'Afa Cayetano Ruggieri, il quale dovrà ora decidere cosa fare davanti a simili richieste.
In tutti i modi, a Germania 2006 e Sudafrica 2010, si sono recati migliaia di "barras" e nonostante alcuni siano stati arrestati, altri hanno assistito liberamente alle partite della nostra nazionale senza nessun tipo di problema.
Per questo, ripeto, sarà molto difficile estirpare il male e soltanto con politiche dello Stato che eliminino la libertà di azione di questa gente e limitino le connessioni con dirigenti e funzionari si potrà (in un futuro lontano) raggiungere l'obiettivo di riportare le famiglie negli stadi.
*Giornalista di Radio B961 e 221 Radio, La Plata, Argentina