Chi ama non dimentica

di Alessio Capone
Chi ama non dimentica.
È stato il 30 aprile 2006, Napoli - Frosinone, con un Napoli abbondantemente primo nel campionato di serie C girone B, l'ultimo atto della nostra Dieci. Ad indossarla per l'ultima volta, onorandola con un gol, fu il Pampa Sosa che sfilando la maglia azzurra mostrò un'altra maglia nera con la scritta: "Onore a chi ha scritto la nostra storia. Chi ama non dimentica" con il viso di Diego Maradona stampato sul retro della maglia. Da quel giorno ho bramato quella maglia nera. Perché io amo.
È il 26 agosto 2014, sono a Napoli per la quinta volta nella mia vita e questa volta devo trovare e comprare quella maglia. Per me e mio fratello. Non ci sono scuse, perché ancora non ho dimenticato. Mi incontro verso le 10 del mattino in Quatto Giornate con gli amici Enrico Ariemma, Roberto Bratti e Valerio Caporaso per un caffè. Mi consigliano di provare alle bancarelle che si trovano tra via Toledo e i Quartieri Spagnoli. Dopo una visita al Vomero e a Posillipo con Roberto come guida e dopo un pranzo veloce in piazza Plebiscito, chiedo a Francesca, la mia compagna di viaggio e non solo, un ultimo sforzo per trovare quella maglia. Lei non capisce, ma mi asseconda.
Dopo qualche vicolo che dai famigerati quartieri sfocia su via Toledo, finalmente vedo quella maglia appesa ad una bancarella e mi dirigo sicuro e impaziente verso il proprietario, un ragazzo sulla quarantina abbondante: "Scusa, quanto costa questa?" "Sono 8 euro, questa è la maglia che ha indossato Sosa.." Lo interrompo concludendo personalmente l'aneddoto, dicendogli di ricordarmi di quell'ultima partita in casa per la nostra Dieci. A quel punto, un tifoso alle sue spalle più avanti con gli anni mi interrompe e mi chiede con un po' di diffidenza: "Ma tu come fai a ricordartelo (riferendosi però a Diego), quanti anni hai?!". Gli rispondo che ho trentatré anni, che non lo ricordo bene, ma che mio padre mi portò a Grosseto nel primo ritiro targato Maradona, quando avevo solo tre anni: c'è autentica emozione nell'aria, i due tifosi della curva A hanno un evidente fremito e il mio accento del nord non rappresenta più motivo di sospetto, anzi, il mio accento non esiste più: è caduta ogni tipo di barriera culturale e sociale. Chiedo tempo per andare a prelevare, e quando ritorno, il più anziano di loro mi aspetta con una calamita in mano e mi incalza nuovamente: "se sei un vero tifoso del Napoli, non puoi non sapere che cos'è questa immagine" facendomi vedere velocemente la calamita prima di coprirla. "È la MA GI CA" rispondo. A quel punto il socio sulla quarantina, emozionato quanto me, mi infila le magliette nella busta, prende in mano la calamita e mi dice: "Tieni, questa te la voglio regalare io - e frugando in una mazzetta di fotografie -, tieni anche questa, è una foto della Curva A. Quando vuoi venire a vedere una partita al San Paolo avvisami prima, non farti problemi, anche se è Napoli - Juve o una partita di Champions, sempre che domani passiamo, io un biglietto te lo trovo e ti faccio entrare". Ho percorso il resto del tragitto fino al nostro alloggio in Salvator Rosa in un silenzio talmente assordante da spingere Francesca a chiedermi più volte se fossi emozionato. "Lasciami un attimo in silenzio, per piacere" le ho risposto.
È questo il mio pre partita di Athletic Bilbao - Napoli. Queste emozioni che continuano a tornarmi su per confermarmi che il Napoli non è una questione di calcio, il Napoli non è un club e il Napoli non è nemmeno "mas que un club": il Napoli è l'unica cosa in grado di abbattere barriere culturali, sociali e territoriali; l'unica cosa in grado di creare un ponte e di unire in emozione vera e unica una persona della medio borghesia bustocca con una persona cresciuta nei "bad" Quartieri Spagnoli.
Anche per questo amo e non dimenticherò mai.
Forza Napoli.
Sempre, comunque e dovunque.