Di Antonio Moschella
La batosta di fine stagione martella forte nella cassa di risonanza del Peripato di sapientoni e presunti illuminati che provano a vedere positivo in qualsiasi caso. Ci tengo a precisare che, pur non essendo un Rafaelita, stimo Benitez per il suo stile e per la sua aura che insieme hanno contribuito ad ingrandire l’immagine del Napoli in Europa e nel mondo, con il paradosso di venire invece ancor più bistrattati in Italia da pubblico avversario e soprattutto dai media.
Siamo chiari: la stagione appena conclusa sarebbe stata reputata un fallimento senza la Supercoppa Italiana conquistata contro la Juventus e in quel modo epico e con un colpo di cuore. Quel colpo di cuore che ieri sembrava essere tornato a manifestarsi fino all’errore di Higuain dal dischetto. Proprio lui, che apre e chiude la stagione con gol, è la faccia stranita di un Napoli rabbioso ma svogliato, talentuoso ma incompiuto e sempre con la tremarella nei momenti importanti. È vero, siamo arrivati quasi fino in fondo alla Europa League e alla Coppa Italia, e in campionato l’agonica speranza di tornare in Champions League ci ha fatto tenere il fiato fino all’ultimo. Ma nei momenti decisivi siamo venuti a mancare. E nonostante non siamo certo una squadra abituata a grandi traguardi, la scottatura delle occasioni perse sul più bello ha lasciato un segno evidente.
Ora è importante rimboccarsi le maniche, anzi cambiare completamente camicia o vestito, data la partenza di Benitez, Bigon e di qualche calciatore fedele al tecnico spagnolo. Se è vero che dalle sconfitte si costruisce il futuro, così come il sito ufficiale della squadra proclama da ieri sera per paliare la mancanza di comunicazione vera e propria, è bene resettare il tutto e ripartire quasi da zero, un po’ come tre anni fa. Benitez direbbe “hacer borrón y cuenta nueva”, uno dei tanti proverbi in lingua spagnola a lui cari. Ma lui ormai è già a Madrid, dove la moglie Montse si sentirà più tranquilla quando lo andrà a trovare, incurante dell’ostracismo di una buona parte dei tifosi del Real che non lo vedono alquanto adatto a sedersi su quella panchina.
Di ciò, però, a noi non deve importare. Chi se ne è andato o se ne vuole andare sa bene dov’è la porta. Se è vero che le bandiere non ci sono più è vero anche che chi non vuole sudare la maglia, azzurra o di jeans che sia, può evitare di simulare l’attaccamento verso di essa.
Tabula rasa, dunque, perché il Napoli ci sarà sempre e perché 10 anni fa eravamo in Serie C e ci accingevamo a perdere il playoff contro l’Avellino, mica il Borussia Dortmund. E soprattutto perché il mondo azzurro non si divide in pre-rafaeliti, rafaeliti e post-rafaeliti. Il nostro punto in comune è il Napoli. E basta.