Di Antonio Moschella
Manco da Napoli da ormai otto mesi. Quasi una gravidanza. Se è vero quanto segue che mi porto dietro sempre una sciarpa azzurra, è anche vero che è il Napoli stesso a seguire sempre me, anche quando non voglio. È stato così quando sono andato ‘in vacanza’ a Lisbona, dove ho incontrato José Luis Vidigal e Gonçalo Marques, due cuori azzurri pulsanti. E sempre nella capitale lusitana, dopo aver intervistato Nuno Gomes, ho scoperto che uno dei suoi migliori amici residenti a Firenze è un napoletano che gli portava la mozzarella ogni settimana.
Poi è stato il turno di Madrid, quando Juan Esteban Rodríguez, cuore biancorosso dell’Atletico Madrid e biografo di Arda Turan, mi ha confessato di aver da sempre ammirato il Napoli. Non a caso, infatti, Diego Simeone ha sempre paragonato il suo Atleti al Napoli di Maradona, soprattutto facendo leva sul carattere di squadra antisistema e fuori dai grandi giochi di potere. Una squadra del popolo, insomma.
Il picco si è raggiunto quando, mentre intervistavo un altro Diego, Milito, per molti El Principe, in quello che sarebbe stato il mio orgoglioso debutto su SoFoot, ne ho approfittato per chiedergli cosa ci fosse di vero sul suo possibile passaggio al Napoli nel 2009. In lui ho sentito una certa malinconia per la mancata possibilità di non aver potuto vestire la maglia azzurra nello stadio che fu del suo più celebre omonimo, con il quale mi ha candidamente confessato che è impossibile paragonarsi. Ci mancherebbe.
Ieri, però, confesso di aver perso il primo tempo. E non è stata colpa mia, bensì di un amico che ha deciso di sposarsi in una villa nella sperduta campagna catalana. La larga abboffata, abbinata a una libagione senza fine, mi ha fatto così perdere la cognizione del tempo e sono arrivato a casa, dopo 20 minuti in bicicletta col rischio che mi togliessero la patente anche di un triciclo, con gli unici aggiornamenti di un Twitter utilizzato a singhiozzo per non perdere le ultime energie della batteria del mio povero telefono.
Una pizza ha accompagnato gli ultimi 40 minuti di partita più rilassati di sempre, vuoi per la sbronza, vuoi per il risultato già praticamente acquisito. Neanche una jastemma in tutta la serata. Un miracolo.
Non so se durerà. So soltanto che l’estate è ufficialmente finita, che le giornate si accorciano e tornerò a soffrire, come d’abitudine. Un po’ per il tempo, soprattutto per il Napoli, quella malattia endemica che mi segue ovunque.