Caro Buffon ti ammiro, ma quello di Higuain non è coraggio. Imparate dal Pocho
Caro Buffon,
io ti stimo, sul serio. Sei il più forte portiere di sempre e probabilmente per sempre; il Diego tra i pali, uno che sposta gli equilibri, insomma. Sei stato un grande anche a decidere di rimanere nella tua società e di giocare in serie B, scelta di stile e di attaccamento. Ancora ricordo e ricorderò per sempre la tua manona a togliere da sotto la traversa quel colpo di testa di Zizou, diciamocelo, valse un gol, valse la Coppa. Trovo assurdo che uno come te non abbia mai vinto la Champions e tuttavia fatico ad augurartelo perché giochi in una società che vanta più conflitti d'interesse che giocatori in rosa. Detto questo, rimarrà comunque inspiegabile se dovessi chiudere la carriera senza la coppa dalle grandi orecchie in bacheca.
Una cosa però vorrei dirtela. Quelli che tu chiami coraggio e personalità io li chiamo vigliaccheria. Dai, le visite mediche di notte, su. E poi quello sguardo basso in conferenza. Capisco il tuo intento, per carità, ma il coraggio, la personalità sono altro. Le mostrò, per esempio, il Pocho quando chiese di persona al presidente di essere ceduto e su richiesta di quest'ultimo acconsentì ad un ultimo anno in maglia azzurra. Un gentleman agreement, per intenderci. Quell'ultima stagione il Pocho se la giocò con alle spalle un continuo mugugnare che andò in crescendo, partita dopo partita. Ma come? Vuole andarsene da Napoli? Inaccettabile. E si espose anche con interviste, dichiarò che Napoli era fantastica, ma che quella vita lo stava soffocando, che non era nemmeno più libero di andare al cinema con il figlio.
Quella stagione si chiuse con la finale di coppa Italia a Roma, c'eri anche tu e non lo dico per sfottere, ma perché dovresti ricordare bene le lacrime sincere di quell'uomo. A fine partita si presentò a torso nudo sotto la curva che oramai quasi lo fischiava da diverse partite per festeggiare con loro. Con un urlo di rabbia mista a fierezza sembrò quasi voler guardare negli occhi uno ad uno tutti i tifosi che popolavano quel settore dell'Olimpico a noi riservato. Eccomi, sono qui, sì, me ne voglio andare e non ne ho fatto un mistero, vi ringrazio, ma ho bisogno di cambiare e me ne vado lasciandovi un trofeo dopo tanto tempo grazie a voi. Testa alta, petto in fuori, sguardo fisso e fiero.
Capisci, portierone, che cosa sono per me il coraggio e la personalità?
Queste cose ricordale e raccontale a chi dice che i napoletani sono ingrati. Fagli rivedere quelle immagini e fagli rivedere le immagini di quell'amichevole con il Psg disputatasi sotto un chiaro di luna di qualche estate più in la, quando il San Paolo accolse il Pocho con quel coro a lui dedicato e che fino al suo arrivo fu esclusiva del più grande di tutti i tempi. I napoletani avranno pure tanti difetti, ma sanno riconoscere e celebrare gli uomini di valore.
E questo è un uomo.