Capodichino c’è stata solo perché gli ultras non erano potuti andare a Bergamo: evitiamo il moralismo sugli eccessi di Napoli (e di Conte)

di Errico Novi
Va un attimo ridimensionata la questione Capodichino. Ieri è stata oggetto del solito articolo antimeridionale di “Libero”, che nella sostanza accusa Antonio Conte di essersi napoletanizzato per non dire pulcinellizzato (come se Napoli e Pulcinella fossero insulti anche al di fuori del becerume curvaiolo nordista). Persino uno che sa stare al mondo come Tony Damascelli, sul “Giornale”, ha rilanciato la macchietta della Domenica sportiva in cui il nostro allenatore è paragonato ad Antonio La Trippa alias Totò. E poi, meritevole come sempre di attenzione e confronto, anche il più intelligente e raffinato analista in circolazione in materia di politica sportiva, Massimiliano Gallo, sul Napolista, ha messo Conte in guardia dal rischio di lasciarsi risucchiare nella vocazione iperbolica e, di fatto, sconfittista della città.
Premesso che è sempre giusto raffreddare gli entusiasmi (tutti, quello di Conte incluso ove mai ce ne fosse bisogno), va però chiarito che Napoli sabato notte non è stata pervasa da un improvviso delirio collettivo: semplicemente, gli ultras della Curva A e della Curva B avevano confezionato e diffuso via social il volantino digitale pubblicato a corredo di questo articolo, e da lì poi il passaparola ha fatto in modo che fossimo in 3-4.000 (c’ero anch’io). In molti (posso testimoniarlo) sono arrivati a viale comandante Umberto Maddalena perché non avevano più come tirar tardi. Un bel po’ erano in compagnia di fidanzate e amiche costrette a resistere in mezzo alla bolgia su improbabilissimi tacchi a spillo.
Soprattutto, il dettaglio del volantino ultras dovrebbe servire a chiarire una cosa: l’happenig di sabato sera è stato un surrogato della corsa dei giocatori sotto il settore ospiti a fine partita. Esattamente come i cori, sempre all’aeroporto, del giorno prima erano stati sostitutivi della presenza fisica degli ultras sulle gradinate di Bergamo. Impossibilitati a recarsi allo stadio, i gruppi organizzati hanno voluto comprensibilmente ritagliarsi il loro attimo di goduria con la nottata a Capodichino. Ci sta.
Se non ci fossero i divieti di trasferta, non avremmo assistito né ai 4.000 in delirio attorno al pullman degli azzurri né a Conte col megafono in mano. Semplicemente perché se i gruppi ultras fossero andati a Bergamo, non avrebbero convocato l’adunata notturna, e senza la loro iniziativa quel tipo di afflusso difficilmente si sarebbe creato, non in quelle proporzioni, di sicuro.
Possiamo disquisire quanto vogliamo sugli eccessi festaioli di noi napoletani. Ma prima dobbiamo parlare seriamente della solidità costituzionale di limitazioni alla libera circolazione dei cittadini italiani imposte in virtù di allarmi per l’ordine pubblico che, se sistematici e continui, vengono meno al principio costituzionale dell’eccezionalità.
Di tale abuso, Conte ha voluto parlare in conferenza stampa, sabato notte. Solo ammirazione per chi come lui ha il coraggio di difendere gli ultras (detto da uno che, ripeto, a 54 anni suonati, alle 3.30 del mattino era ancora lì a lanciargli il coro che fu di Diego, Olè olè olè olè, Mister Mister).