Tifo tiepido e gruppi divisi: ridatemi la vecchia Curva B!

Lo storico cuore pulsante del tifo partenopeo fatica a eguagliare i fasti di un tempo. Di certo sono rimasti in pochi con le sciarpe al collo. Ma perché gli ultras non tornano a cantare tutti insieme?
  • www.leggo.it

    di Domenico Zaccaria

    Settori popolari. Così venivano chiamate le curve degli stadi italiani fino agli anni 70’, quando l’esplosione del fenomeno ultras cambiò tutto o quasi. Li frequentava chi non si poteva permettere un posto più nobile all’interno dello stadio, magari al riparo dalla pioggia o comunque centrale rispetto al campo. E così ogni domenica nei settori popolari si ammassava un’umanità varia ed eterogenea che andava dai pensionati fino ai bambini accompagnati dai papà, passando per i ragazzi e le (poche all’epoca) signore innamorate del pallone più che dei fornelli. Niente di più lontano, insomma, dall’idea di “curva” che si sarebbe radicata di lì a breve e che in qualche modo resiste fino ad oggi. Ho iniziato a frequentare la Curva B a metà degli anni 90’, quando il Commando Ultrà era ancora in vita e il settore era senza ombra di dubbio il cuore pulsante del tifo al San Paolo. Ci si andava per cantare, non solo per assistere alla partita spendendo il meno possibile; la sciarpa al collo era d’obbligo e difficilmente si vedevano anziani, famiglie o bambini: diciamo che l’età media si aggirava tra i 15 e i 45 anni. Ancora oggi sono rimasto fedele a quel settore, nel quale ho vissuto le poche gioie e le molteplici delusioni della mia vita da tifoso azzurro. Certamente molte cose sono cambiate e non poteva essere altrimenti; ma è solo dopo Napoli-Fiorentina che mi sono domandato cosa sia rimasto uguale. E la risposta è stata: si vede la partita in piedi. E basta. Già, tutto il resto è cambiato, a partire da chi frequenta la Curva B. Famiglie, bambini, anziani e signore popolano ormai la metà dei seggiolini “relegando” gli ultras nella sola parte centrale: c’è insomma una sorta di ritorno al settore popolare tipico degli anni 70’. Il che, intendiamoci, porta con se anche qualcosa di romantico ma ha al contempo inevitabili ripercussioni sulla qualità del tifo. Il 50% delle persone che oggi frequentano la Curva B non canta, non conosce i cori e quando li conosce va fuori tempo. A completare il quadro c’è poi l’evidente spaccatura tra i due gruppi principali, gli Ultras Napoli e i Fedayn, che intonano cori diversi e spesso contemporaneamente. Il risultato è un po’ caotico, perché chi non fa parte dei gruppi ma va ancora in curva per cantare (come me) non capisce bene chi deve seguire. E spesso finisce per intonare quello che arriva, forte e compatto, dalla Curva A. Lì cantano in 5mila lo stesso coro; in Curva B sono 2mila, e anche divisi. La differenza è tutta qui. Sono sempre stato estraneo alle logiche ultras sulla leadership curvaiola: sono semplicemente un tifoso che per anni è stato fiero di fare parte di una delle curve più calde e colorate d’Italia. E che ora sta assistendo a una lenta ma inesorabile metamorfosi del settore del San Paolo che ama di più. E allora dico: perché i due gruppi della B non tornano a cantare insieme? Forse è l’unica strada per evitare di tornare ai tempi dei settori popolari; e per non cedere definitivamente il passo alla Curva A.

     

     

     

    Condividi questo post