Cristiano Lucarelli e quell'amore a prima vista con il popolo azzurro

«Napoli è unica, ha un amore totale e totalizzante per i suoi idoli, ma anche per chi mostra di legarsi ai suoi colori», dice il bomber livornese, oggi allenatore. Ecco un'altra chicca dal libro "#chevisietepersi"
  • di Boris Sollazzo

    Lui è il bomber che ha rinunciato a un miliardo per tornare nella sua Livorno. Lui è il “comunista” che ha combattuto battaglie sportive e politiche per un mondo più giusto. Lui è Cristiano Lucarelli, campione di provincia sottovalutato da molti e osteggiato da altri per essere sempre stato tanto sincero quanto controcorrente. In un calcio che ama gli omologati. Uno così, a Napoli, non poteva non essere amato. E questo è il racconto di una storia d’amore esplosa “al di là del risultato”. Il cannoniere, infatti, non ha mai segnato al San Paolo, ma lo ha comunque sentito urlare per lui. Questa è la storia di un uomo vero che ha conquistato i suoi tifosi per chi è, e non per come ha giocato. Perché il tifoso napoletano è ben altra pasta rispetto ai sostenitori di ogni altra squadra.

    Quali ricordi ti vengono subito in mente pensando a Napoli e al Napoli?

    La contestazione appena arrivato, un battesimo di fuoco a causa di un equivoco, una voce che si era sparsa riguardo a un mio gesto presunto e mai fatto contro i supporter del Napoli. E quando uso la parola “appena”, intendo dire che avvenne nel momento stesso in cui scesi dall’aereo. Non avevo fatto nulla: figuriamoci, sono un uomo di curva, non è nella mia cultura. E poi subito mi torna alla mente l’ultima partita, la finale di Coppa Italia. Due anni dopo amavo, ricambiato, quei tifosi che ora mi abbracciano e ricoprono d’affetto, tutti, ogni volta che mi incontrano. E la cosa più bella è che mi hanno apprezzato come persona, prima ancora che come giocatore, avendo potuto fare pochissimo per questa squadra. Questi due eventi segnano la mia splendida e strana parabola partenopea. Non dimenticherò mai tutti quei napoletani assiepati sugli spalti dell’Olimpico che ballavano, cantavano, urlavano per e con noi. Uniti, io e loro, dall’aver vinto poco e sofferto parecchio.

    Hai mai rimpianto di non aver vestito prima questa maglia?

    Certo. Ma non ho mai avuto l’opportunità di arrivare al Napoli prima, non l’avrei mai rifiutato. Penso spesso a cosa sarebbe stato fare 200 gol qua e non in giro per l’Italia e l’Europa. Ne ho fatto uno e mi amano così, figuriamoci cosa sarebbe accaduto segnandone a grappoli. Napoli è unica. Ha un amore totale e totalizzante per i suoi idoli, ma anche per chi mostra di legarsi ai suoi colori. E uno che viene da fuori, uno straniero viene adottato con ancora più calore di chi è indigeno, soprattutto se si lega tanto alla città. E pensare che all’inizio non sapevo se portarmi dietro la famiglia, per quello che si diceva in giro, la mia esperienza partenopea precedente era datata 1996, qui feci il militare. Molte voci la disegnano in maniera negativa e io stavo per farmi condizionare. Sapete com’è finita? Son venuti tutti, figli compresi, e hanno, abbiamo amato Napoli alla follia. Mia moglie, quando siamo partiti, ha pianto, io per la prima volta in carriera non ho sentito mai il bisogno di scappare a Livorno almeno una volta la settimana. Sono stati due anni meravigliosi, magici.

    Insomma Hamsik non è pazzo a voler rimanere ancora molti anni.

    Non lo è. Riesco a capire perfettamente uno come Marek che pur potendo andare in qualsiasi squadra ogni anno decide di rimanere sotto il Vesuvio. La città è bellissima, ospitale, squisita anche nel cibo: e ora che sono lontano capisco ancora di più quanto sia speciale. Mi manca da morire. Napoli ti rimane dentro, per sempre, così come i ricordi che ti legano a lei. Se hai la fortuna di viverla è impossibile dimenticarla.

    Cos’ha il tifo napoletano che gli altri non hanno?

    Per raccontarlo io cito sempre uno striscione: “Al di là del risultato”. Ecco, in quelle cinque parole c’è tutta la passione, l’amore, la fede in una squadra, in colori che vanno oltre il calcio. A Napoli si parla del Napoli a ogni angolo di strada, c’è un attaccamento impressionante alla maglia, il calcio viene vissuto con intensità totale, parlandone 24 ore su 24.

    I napoletani ti amano anche perché in Europa League ti giocasti la carriera per noi.

    Dai, non mi va di raccontare di Napoli-Utrecht. Sembra che uno vuol fare l’eroe. Che ti devo dire? Molti erano scettici per via della mia età, mi avevano contestato venti giorni prima e c’era stato da poco il chiarimento con i tifosi. Era il mio esordio. Passati pochi minuti sentii il ginocchio cedere, andava dove voleva, non lo controllavo, aveva la consistenza della gomma, come se ossa e legamenti non ci fossero più. Ma si era sullo 0-0, non volevo lasciare la squadra in 10, eravamo nel secondo tempo e in difficoltà. Non c’erano altre sostituzioni, avremmo perso se fossi uscito. In fondo a 35 anni potevo rischiare la carriera per dei colori che amavo tanto. E volevo dimostrare a chi era sugli spalti che anche con un ginocchio disastrato con la voglia, la cattiveria, la grinta potevo rimanere in campo ed essere degno della maglia che indossavo. Non volevo che pensassero fossi un vecchietto: in quei minuti prevalse l’orgoglio e non me ne pento. Ho finito la carriera da guerriero, quale mi sono sempre sentito. Combattendo per una città che amo. E ho lottato anche dopo: recuperai in 90 giorni, riesordendo poi contro il Bologna in Coppa Italia. La gente apprezzò moltissimo: avevo lavorato 8-9 ore al giorno per tornare utile alla squadra il prima possibile. Ne è valsa la pena: quando sono entrato il boato del San Paolo è stato incredibile, emozionante.

    Ci racconti quel tuo unico gol partenopeo?

    Era l’ultima di campionato, ci eravamo già qualificati per lo Champions League. Il mister voleva far giocare quelli che avevano avuto meno spazio, soprattutto i giovani. Mi chiese se volevo essere dei loro e io pensai fosse più giusto lasciar spazio a chi doveva esordire o accumulare minuti d’esperienza. Ma poi non ho resistito, volevo giocarla quella partita. Anche perché temevo fosse l’ultima e perché era contro la Juventus. Non ci dovevo essere, dunque, e poi non speravo nella riconferma. Ma volevo entrare nella storia del Napoli, anche solo con una rete. Arrivò, e fu bellissimo: la panchina scattò in piedi, tutti vennero ad abbracciarmi in campo, magazzinieri e massaggiatori compresi, saltava e si dimenava persino Bigon, di solito controllatissimo. Dopo essere stato sommerso da loro, mi girai verso il settore ospiti: i nostri tifosi esultavano come pazzi. Tutti volevano un mio gol, tutti lo aspettavano, lì capii che legame forte ci fosse tra me e i tifosi, tra me e la città. Non serviva alla classifica, quel colpo di testa vincente. No, gioivano solo per me e con me. Come si fa a non amare chi ha un cuore così grande?

    Sogni di tornare?

    Sì, il mio sogno è tornare in quello stadio e vincere. Da allenatore. Non potrebbe essere altrimenti.

    *Cristiano Lucarelli è uno dei centravanti più forti che il calcio italiano ha visto giocare negli ultimi vent’anni: 200 gol in serie A. Ma a Napoli ha giocato solo una dozzina di scampoli di gara con la maglia azzurra. E segnato un solo gol. In due anni. Ma nella città partenopea lo amano tutti.

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