Nessuno tocchi Aurelio De Laurentiis. Criticatelo pure per i modi, ma è l'unico modo per farsi ascoltare

Continuare a pensarlo come un naif un po’ cafone è sottovalutare uno dei pochi imprenditori italiani di successo che riesce, con il solo talento e intuito, senza "aiutini", a vincere sempre
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    di Boris Sollazzo

    Sarò franco. Solo una cosa sopporto meno dei giornalisti napoletani che fanno da fuoco amico (del Nord) contro la nostra squadra, la nostra città, la voglia di crescere nel calcio e non solo. E sono coloro che sparano contro il presidente, non sforzandosi mai di capirne le strategie. O meglio, imputandogli questa capacità di essere un fine tattico solo in negativo.

    Per carità, va detto che il nostro fa di tutto per far soffrire i duri e puri: quell’inno stuprato da un arrangiamento da poppettari falliti americani – anzi, da cani e basta -, così come le stelle e strisce, quest’estate, a invadere un nostro vessillo, fan male. Anzi, neanche fine, visto che non pochi lo definiscono “pappone”.

    Che il nostro vuo’ fa l’americano lo sappiamo da sempre: il primo cinepanettone era una vacanza in America, solo il Napoli l’ha tenuto lontano da quel sogno hollywoodiano che è come un tarlo per lui che ha inanellato successi da sempre (zio Dino ricominciò da capo per seguirlo), se potesse comprerebbe anche domani i Los Angeles Galaxy o una compagine simile per regalare un gemello statunitense agli azzurri. Quindi, mettiamoci l’anima in pace.

    Da noi, e anche all’esterno, però, lo si critica per i modi. Intendiamoci, il maschilismo con cui colpisce Ilaria D’Amico nel privato – ma la battuta è geniale, diamogliene atto – e non, che so, Massimo Mauro o chiunque altro sottovaluti con sprezzo del ridicolo il valore del team partenopeo, ha dato fastidio anche a me. Ma è anche vero che se sei la front woman di una tv che ha comportamenti chiari e ostili verso la terza forza di campionato, ti prendi il rischio di raccoglierne le responsabilità e subirne le conseguenze. Sky, come sappiamo, è ormai decisiva per le sorti della Serie A e del calcio italiano in generale. E con la gentilezza, la pazienza, la delicatezza il Napoli ha ottenuto solo un ostracismo incomprensibile e continuato. Che sia perché di napoletani in redazione ce ne sono pochi, che magari siano disturbati dallo stile troppo raffinato di Benitez e dalla sua tattica – comportamentale e sportiva - troppo poco italiana, che sia accaduto qualcosa che abbia rotto rapporti interni ed esterni, a dispetto delle fonti interne che tentano di ricomporre il tutto, è fin troppo evidente che l’amore tra i due sia finito da un pezzo.

    Sa, il presidente, che siamo a un passo dal definitivo salto di qualità. E non può far prigionieri. Ecco perché, e non è un caso, dopo un lungo silenzio ha deciso di entrare come un elefante in una cristalleria su tutti i campi. Non è stato delicato, infatti, con De Magistris e il Comune a proposito dello Stadio San Paolo, fino alla minaccia bizzarra e clamorosa di traslocare in Inghilterra, con parole sprezzanti per amministratori e assessori. Perfino nel complimento a Cannavaro – “non sembra napoletano” – c’è tutto l’astio per una realtà che lo sta imbavagliando. A farlo parlare non è la superbia romanocentrica – vive, Aurelio, la colpa di essere capitolino sul Golfo – ma la frustrazione di chi vorrebbe una realtà internazionale e si trova bloccato dalle ganasce locali. Da beghe da cortile. Anche qui, ha tentato e percorso le vie diplomatiche. Anche qui ha capito di dover sbattere i pugni.

    Ascoltatelo, Aurelio. Perché è uno che anche quando la spara grossa, la spara giusta. Fateci caso: mai ha parlato a vanvera, prima o poi quello che ha previsto o analizzato, si è verificato. Nel calcio e a Napoli. Quando esagera, in verità sta solo provocando. E molto spesso, mostra il futuro.

    Noi tifosi siamo dei conservatori: se ci cambiano il colore della maglia impazziamo (io per primo), se delle belle ragazze ballano prima della partita per noi è un sacrilegio. Se ci parlano di fair play finanziario, a noi viene la nostalgia di chi, dopo due scudetti, ci ha scaraventato nelle umilianti serie inferiori, con tanto di fallimento, per conto altrui.

    Lui è un innovatore, alla sacralità del nostro amore antepone il successo della sua società. Di cui è innamorato: come dimostrano le sue uscite più istrioniche. L’aneddoto sul premio per il secondo posto lanciato nello spogliatoio nel post Napoli-Juve, legato al rinnovo di Reina, è una scena da Oscar. L’acquisto di Higuain, si commenta da solo. E le sue uscite dopo le vittorie, siete degli ipocriti se non ammettete che vi fanno godere.

    Smettiamola di essere snob. Il calcio, dice un detto un po’ sessista, non è uno sport per signorine. Bisogna fare a spallate, giocare d’esperienza, a volte provocare l’avversario. La gamba tesa, la scivolata, il fallo da dietro sono elementi di gioco come il tacco, la rovesciata, il dribbling. Soprattutto se non hai aiuti dall'esterno. Dagli arbitri o dai potenti. Perché, piaccia o no, quello che ha costruito, ADL, lo deve a se stesso e, al massimo, alla sua famiglia. Quindi, smettetela e smettiamola di rompere le scatole. Smettiamola di essere ipocriti: i veri bulli del mondo del calcio sono i Conte, i Marotta, gli Agnelli. Non certo lui.
    Piuttosto, remiamo tutti nella stessa direzione perché, e lo sapete bene, non ci siamo mai divertiti tanto. E il meglio deve ancora venire.

     

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