Dieci anni fa quell'assurdo ritiro a Badia di Moscheto

Il racconto di chi visse in prima persona una delle pagine più buie di questi 88 anni.
  • di Tania Sollazzo

    Era il 2 agosto del 2004, a Badia di Moscheto. Decido di partire con la macchina, da Roma, per vedere il ritiro del Napoli. Il Napoli senza presidente, senza società e senza futuro. Ma chi ama non dimentica e la speranza è sempre l'ultima a morire.
    Così, senza pensarci troppo e sperando di trovare una squadra pronta e concentrata per la prossima stagione.

    Mi sbagliavo.
    Quando arrivai in campo c'erano Sesa, Carmando, Montervino e Montesanto. Giocavano a "torello", senza divisa, con le loro tute personali. All'arrivo di Gregucci - sgommando con l'SLK - pensavo che un vero allenamento avrebbe avuto inizio.

    Mi sbagliavo un'altra volta.
    Il giovane allenatore firma la sua presenza e se ne va. 
    A quel punto, con una certa preoccupazione, mi avvicino a Carmando chiedendo cosa stia succedendo. Invece di rispondermi, guardandomi stupito, mi chiede: ma cosa ci fa una ragazza come te qui?
    Gli racconto della mia passione e del mio viaggio. Lui mi abbraccia e mi fa entrare in campo. Sesa - il giocatore che allora odiavo di più, non foss'altro per il suo amore per i prodotti gastronomici campani che, per un atleta professionista, non è un merito - mi fa da Cicerone. Non dimenticherò l'atmosfera irreale di quella giornata: i giocatori quasi grati perché qualcuno li andava a vedere - oltre a me c'erano poche altre persone -; foto e autografi, ma di calcio poco e niente; nessuno sapeva niente del proprio futuro; Gaucci non si era mai visto e l'allenatore era un fantasma. C'era solo Carmando e l'immensa buona volontà di una squadra che, nonostante tutto, aveva ancora voglia di rinascere.
    Quel giorno, al ritorno, in macchina, ho pensato: "speriamo di fallire". Ero stanca di finti presidenti, di stagioni inutili, votate alla salvezza e all'iscrizione al campionato. Volevo un vero presidente, un vero ritiro e un po' di speranza per noi e per quella squadra che sembrava giocare ai giardinetti sotto casa. È per questo che io amo e sarò sempre grata ad Aurelio De Laurentis. E mi chiedo come alcuni tifosi non riescano a capire cosa sarebbe o non sarebbe stato il Napoli senza di lui.

    Ecco perché oggi è un giorno da festeggiare, tanto quanto gli 88 anni del Napoli. Una rinascita. Che non bisogna dimenticare: perché quando hai toccato il fondo e sei riuscito a risalire fino alla cima, non devi mai scordare quei tempi difficili. Ultimamente, purtroppo, non è così. Abbiamo assaggiato la gloria e ora vogliamo sempre di più, non è sbagliato ma ci sono delle regole che vanno seguite altrimenti ci ritroveremo di nuovo soli e allo sbando come quel giorno a Badia di Moscheto. De Laurentiis ci ha permesso di esultare, di festeggiare e di pensare in grande.

    Tu, Aurelio, ci hai regalato un progetto e io ci credo e non ho fretta, se la fretta significa rivivere quegli anni bui di dieci anni fa.

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