La Cina è vicina

Inter, Milan cronaca di una scalata inarrestabile a suon di yuan. Perché i cinesi vogliono prendersi il calcio italiano?
  • di Nello Del Gatto

    Il calcio italiano sta per diventare territorio di colonizzazione straniera. Hanno cominciato attivamente gli americani con la Roma, è arrivato “il filippino” all’Inter e ora lo stesso Thohir sta per vendere ai cinesi. Stessa nazionalità anche per coloro che si vogliono comprare il Milan. Un arrivo, quello nel calcio italiano, tardivo dei gruppi stranieri se si pensi agli investimenti russi, asiatici e del Golfo in Inghilterra o in Francia, dove già da anni molte squadre hanno cambiato padrone. Strano: dopotutto russi, arabi e cinesi da anni sono venuti a fare acquisti nel nostro paese (Bulgari, Azimut, Loro Piana, alberghi, il centro dei grattacieli di Milano solo per citare qualche caso), ma mai si sono buttati nel calcio come è invece successo all’estero. Questo per una ragione ovvia: il calcio italiano non è considerato un investimento degno di tale nome. Non a caso anche in Italia è difficile trovare imprenditori che si buttino nell’agone del campo.  Lo fanno ora, perché nel bel paese c’è poco altro. Perché comunque il calcio ha sempre un suo appeal e, trovandoci noi alla fase zero, si potrebbero sfruttare una serie di situazioni, a cominciare dalla costruzione e gestione degli stadi. I due gruppi cinesi (una cordata che vuole prendere il Milan, della quale si sa poco e quella che vuole prendere l’Inter ha dentro Suning, il Trony della Cina, già proprietario di una squadra di calcio) ovviamente, essendo formati da gente che capisce molto di investimenti e denaro ma niente di calcio, si sono buttati sui due brand calcistici più famosi all’estero e sulla città più stylish, quella con più presa all’estero che anche se non ha la storia e le bellezze di Roma, ha dalla sua la vivibilità, la moda, il design, il vivere bene. Quello che, insomma, ci invidiano all’estero, soprattutto lì dove sorge per primo il sole ogni mattino. E’ un investimento su due binari: i cinesi investono in Italia per entrar forte in un paese che amano, in un settore da sviluppare e ancora artigianale ma dal grande potenziale, per in qualche modo diffondere anche il soft power del loro paese. Di ritorno, in Cina portano il know how delle squadre calcistiche cinesi e lo sfruttamento di immagine dei calciatori e dei loro storici colori. Dopotutto, che il calcio sia al centro dell’attenzione in Cina, sembra una cosa ovvia:  a parte i grandi campioni che stanno arrivando grazie al peso dello yuan (Lippi era a libro paga per oltre un milione di euro al mese come allenatore del Guangzhou), il calcio si sta diffondendo sempre di più. Il governo, il vero motore del commercio e dell’economia (le società, anche quelle che passano per private devono pagare una sorta di dazio di gestione ai vertici del partito), si è reso conto di quanto il calcio cinese sia in basso e volendo non dipendere più dagli stranieri, il presidente ha deciso di rendere obbligatorio il calcio nelle scuole. Una idea fissa del presidente Xi Jinping che punta ad ospitare (e vincere) i mondiali fra qualche anno. Anche statisticamente, su oltre un miliardo e 300 milioni di persone, non dovrebbe essere difficile trovare undici campioni. Invece il calcio cinese è ad un livello basso: 81mo posto nella classifica Fifa. Solo i club vanno bene: grazie ai milioni buttati nelle squadre dai grandi gruppi, soprattutto immobiliari cinesi, nelle squadre, i team del paese del Dragone si sono aggiudicati tra i migliori giocatori al mondo che hanno aiutato a conquistare anche trofei continentali. Ma, soprattutto, aiutano a crescere il movimento calcistico in Cina. E’ il sogno della grande Cina, già espresso nelle olimpiadi del 2008, ma soprattutto la volontà di mostrare un paese diverso dai preconcetti e pregiudizi. Soprattutto un modo per diffondere quel soft power (ricordate che infatti si sono lanciati subito su Infront, che fa se non gestire trasmissioni televisive?), quella idea di Cina e cinesi come non del regno del lavoro sfruttato, dei diritti civili negati, della libertà di espressione e stampa negata, ma di un paese dove vivere godendosi qualsiasi comodità anche a migliaia di chilometri di distanza dalla propria casa. Non debbano sembrare teorie complottisiche al pari di chi pensa che gli ufo o la Cina abbiano abbattuto le torri gemelle: in Africa ad esempio la Cina costruisce infrastrutture in cambio delle ricchezze del sottosuolo e offre lezioni gratuite di cinese. Ecco perché si affacciano ora all’Italia: il nostro calcio è ancora poco appetibile dal punto di vista imprenditoriale, ma lascia ampie possibilità e soprattutto è una chiave per ottenere altro nel bel paese. Inoltre, la possibilità di far aumentare il movimento calcistico cinese grazie a stage in Italia e a Pechino e dintorni è notevole. Senza poi dimenticare la funzione di money laudring che il calcio ha sempre rappresentato: nelle carte dei Panama Papers ma anche in quelle dell’altra simile inchiesta di due anni fa, si scoprirono moltissime aziende cinesi che avevano soldi nei paradisi fiscali. E Napoli e il Napoli? La città di Partenope non è sconosciuta ai cinesi (e non mi riferisco alla numerosa presenza dei nipoti di Mao nell’hinterland o in città, perché non bisogna assolutamente confondere gli immigrati con questi grandi gruppi, che non sono in nessun caso legati o collegati), ai quali piace la storia, il cibo, le isole. Ma parliamo di industrie e vedono poche possibilità di investimento anche perché sono spaventati dall’immobilismo amministrativo e dalla presenza della malavita (similia, similibus…). Il Napoli per i cinesi è Maradona. “Napoli” in mandarino si pronuncia “Napules” con la “s” finale quasi muta, molto simile al dialetto nostrano. La Pizza è l’alimento italiano più conosciuto (anche perché c’è la disputa su chi abbia creato prima gli spaghetti), ma molti pensano venga da Pisa (nomi simili e la torre è da sempre una icona conosciutissima), altro purtroppo si conosce poco o quasi niente. Una buona occasione sarebbe stata la finale di supercoppa a Pechino di qualche anno fa, ma è stata poco sfruttata. Il presidente del Napoli è stato un paio di volte in Cina anche per questioni cinematografiche, ma non è riuscito nel suo intento: alcune fonti mi hanno riferito che con i cinesi ha avuto un approccio sbagliato, troppo personalistico, volendo stare troppo al centro dell’attenzione. Il suo atteggiamento naturale insomma. E questo gli ha precluso qualche possibilità. Dopotutto, il Milan per la sua trattativa si è avvalsa della consulenza di BNP Paribas, dello studio legale Chiomenti (uffici in tutto il mondo, tra i primissimi ad aprire in Cina) e la banca d’affari americana Lazard. I cinesi stessi si sono rivolti a Sal Galatioto della omonima società americana, una delle più importanti al mondo. Stesso discorso per l’Inter, dove inoltre Thohir se ne va dopo tre anni con una notevolissima plusvalenza. Possibile che ci siano gruppi interessati al Napoli, ma bisogna mostrare una attitudine societaria degna del nome. A cominciare dal sito, dove la sezione in cinese (inutile perché mai pubblicizzata) non è neanche aggiornata. Se il buongiorno si vede dal mattino…

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