Il 4-2-3-1 profuma d’Europa, perciò Benitez non lo ripudierà

Il Porto è cresciuto grazie alla presenza fissa in Champions, garantitagli dalla scarsa concorrenza in patria. Rafa vuole che anche per il Napoli la scena europea diventi familiare: e resta convinto che quel modulo sia necessario allo scopo
  • di Errico Novi

    Be’, tanto l’abbiamo disprezzata che l’abbiamo persa. Ma adesso che dall’Europa League siamo usciti il boccone è più amaro del previsto. Perché il profumo d’Europa inebria, c’è poco da fare. De Laurentiis considerava questa coppa una mezza iattura, quel sorteggio che ci aveva dato in sorte il sottovalutato Swansea sembrava fatto apposta per ricordarci la differenza di altitudine rispetto alla Champions. E tra gli stessi tifosi c’era chi riteneva dissennato sperperare energie in Europa League anziché investirle tutte nella rincorsa alla Roma. Una tesi che è stata sostenuta anche su Extranapoli un paio di settimane fa da Giulio Spadetta, con argomentazioni tutt’altro che trascurabili. Ma allora perché ora brucia quest’uscita di scena? Perché come dice Boris Sollazzo vincere aiuta a vincere, anche se ti costringe a restare su più fronti. Mentre dover abbandonare il campo ti svuota sempre un po’.

    Contro il Porto si è visto un Napoli di ottimo livello, soprattutto nel primo tempo e comunque fino all’1-1. E allora cos’è mancato? Probabilmente Higuain, che non è stato lo spietato killer di Torino. A Mertens e Insigne va concessa l’attenuante del gran lavoro svolto in copertura, che ha tolto loro lucidità e determinazione sotto porta. Ma proprio la gara dei due esterni d’attacco finirà per riproporre i dubbi sul modulo. Già da diversi mesi per la verità molti commentatori obiettano al tecnico spagnolo soprattutto una certa mancanza di duttilità nel sistema di gioco. Anche su Extranapoli ne abbiamo parlato, lo ha fatto in particolare Domenico Zaccaria con un pezzo in cui, impietosamente, indicava i benefici che il Napoli avrebbe trovato in un eventuale passaggio al 4-3-3. Sul piano strettamente tecnico quel giudizio è inattaccabile: ci sono almeno tre giocatori chiave di questa squadra che si esprimerebbero sicuramente meglio con quel modulo. Prima di tutti Insigne, appunto: nel 4-3-3 gli esterni d’attacco hanno obblighi di copertura meno severi di quanti ne preveda l’attuale 4-2-3-1. E soprattutto, le “ali” del 4-3-3 possono riuscire a trovarsi più spesso vicine alla porta, cosa che per Insigne avrebbe un effetto balsamico. Hamsik a sua volta, se arretrato nella posizione di interno sinistro, potrebbe sviluppare un tipo di gioco non troppo diverso da quello che esibiva ai tempi di Reja, e sicuramente avrebbe più spazio per gli inserimenti. E ancora, Jorginho e Inler si troverebbero sicuramente più a loro agio in una linea mediana a tre.

    E allora? Cosa dobbiamo pensare, che Benitez sia un irrecuperabile integralista? Cominciano a sospettarlo alcuni colleghi che ormai chiedono esplicitamente un cambio di rotta. Sul passaggio al 4-3-3 la trasmissione di Radio Crc Si gonfia la rete, condotta da Raffaele Auriemma, ha proposto addirittura un sondaggio, concluso con la vittoria dei “sì”. Solo che non c’è proprio da aspettarsela, una cosa del genere. Almeno non quest’anno: è da escludere nella maniera più categorica che Rafa possa convertirsi in questo finale di stagione. E se è così – e soprattutto, se non c’ha mai seriamente pensato neppure nei mesi scorsi – è perché anche attraverso il modulo il tecnico spagnolo vuole trasmettere al Napoli una mentalità europea. La sua predilezione per il sistema più offensivo tra quelli maggiormente diffusi in Europa risponde proprio alla necessità, molto avvertita da Benitez, di portare a Napoli un calcio propositivo e ambizioso. Lo ha ribadito indirettamente anche l’altro giorno, nell’intervista in cui ha individuato la principale causa degli insuccessi internazionali delle italiane nel frequente ricorso alla linea difensiva a 5.

    Esagera, Rafa? Difficile dirlo. Certo la partita di ieri sera qualche dubbio lo può insinuare. Se Mertens e Insigne non fossero arrivati al tiro dopo complicati equilibrismi sulla linea laterale, o dopo aver appena finito di inseguire gli avversari fino all’altra estremità del campo, forse la via del raddoppio sarebbe stata meno impervia. Ma sono considerazioni del tutto secondarie, dal punto di vista di Benitez, rispetto alla necessità di costruire a Napoli una visione del calcio veramente europea. Proprio il Porto rappresenta un esempio abbastanza chiaro di quanto questa mentalità derivi dall’abitudine a frequentarla, l’Europa, e dal fatto di riuscire ad andare lontano nelle competizioni internazionali. Negli ultimi dieci anni i lusitani hanno vinto una Champions, un’Europa league e una Coppa Intercontinentale. Neppure nelle occasioni in cui hanno alzato il trofeo i “draghi” avevano avuto il favore dei pronostici. Ma rispetto a tante altre squadre europee di buon livello, i portisti hanno l’enorme vantaggio di esserci sempre, nei grandi tornei. Di essere anzi quasi sempre in Champions, in virtù della modestissima concorrenza nel loro campionato nazionale, Benfica a parte. Questa abitudine così consolidata a frequentare le grandi scene internazionali, legata sicuramente alla mancanza di avversari in patria, ha fatto del Porto una piccola potenza. È bastata l’esperienza, la familiarità con i grandi palcoscenici, con i grandi stadi. Grazie a questa particolare attitudine, i “draghi” hanno raggiunto via via degli score sempre più brillanti, nelle competizioni internazionali. Fino a scalare la vetta d’Europa, e addirittura del mondo, con l’Intercontinentale del 2004, e a consolidare un’ottima statistica che li vede raggiungere quasi sempre la seconda fase della Champions.

    Vincere aiuta a vincere. E anche il Napoli, se vuole guadagnarsi in Europa il diritto a una presenza non occasionale, deve sforzarsi di giocare un calcio all’altezza dei grandi club del Continente. Ma questo può costare qualcosa, in una prima fase: e forse se n’è avuta prova anche ieri sera. Eppure Benitez ha le sue buone ragioni nel forzare le cose, nel costringere i suoi giocatori a fare un calcio più faticoso. Perché, sì, ci vuole tempo. Ma poi, una volta acquisita davvero una maturità da grande club europeo, sarà più difficile che le avversarie in Italia, Juventus compresa, possano superarti, con o senza aiuti arbitrali.

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