Sfatiamo questo tabù, c’è anche un anniversario di mezzo

Non possiamo tollerare che un’altra squadra abbia una casa inespugnabile: è ora di castigare lo Juventus stadium. Anche perché Juve-Napoli 1-3 del primo scudetto ricorre giusto in queste ore
  • di Errico Novi

    Chi c’era sa. Ricorda per esempio com’era colorata d’azzurro la curva Maratona in quel 9 novembre dell’86. Quello di Juve-Napoli 1-3: la presa di Torino, il meraviglioso racconto di Maurizio De Giovanni. Ecco, non foss’altro perché festeggiamo l’anniversario di quella che è forse la nostra più bella partita di tutti i tempi, sarebbe il caso di infrangere il tabù. E uscire vincitori dallo Juventus Stadium.

    Noi napoletani questa cosa non la possiamo tollerare. Cioè non possiamo proprio lasciar correre che un’altra squadra abbia uno stadio così simile a un’arena infuocata da essere inespugnabile. La Juve è riuscita a crearsi il suo piccolo fortino. Piccolo perché, tanto per dire, ha ventimila posti in meno del vecchio “Comunale”. Però funziona: spettatori a ridosso del rettangolo verde, inclinazione massima degli spalti in modo da dare l’impressione che la folla precipiti sul campo, secondo anello che crea un effetto sonoro ancora più ipnotico. Tutto perfetto, addirittura studiato, verrebbe da dire. E i risultati parlano: in due campionati nel nuovo stadio la vecchia signora ha vinto 27 partite sulle 38 disputate. Ne ha pareggiate 9 e perse appena 2. E, più di tutto, ha vinto 2 scudetti su 2. Adesso, se permettete, noi che siamo Napoli, noi che sappiamo trasformare il San Paolo in una bomba atomica, noi che siamo la tifoseria più calda, potente, più ciecamente accesa dalla passione, possiamo mai sopportare che qualcun altro abbia uno stadio inespugnabile? E no che non possiamo. Noi no: noi lì dobbiamo vincere. Dobbiamo far capire a questi che gli unici a poter stordire gli avversari con il solo potere del tifo, con il solo protendersi dei nostri cuori sul campo a spingere i nostri e fermare gli altri, gli unici detentori di questo incantesimo siamo noi. Gli altri possono pure costruirsi lo stadio nuovo, possono pure ridurre il settore ospiti a uno spicchietto inverecondo e vendercene i biglietti a 45 euro l’uno (vergogna, come abbiamo detto in un altro articolo), possono pure aggredire l’arbitro a ogni presunto torto, forti dell’atmosfera incandescente che si respira attorno, ma non possono rubarci il diritto esclusivo di prendere in ostaggio le altre squadre nel nostro stadio e farle uscire solo dopo che hanno posato i tre punti.

    Certo, quella specie di gabbietta sottile dove la gentile vecchia signora accoglierà i 2.101 partenopei che si sono accaparrati il posto per domenica non può essere paragonata alla curva Maratona del 9 novembre 86. A parte che, come ricorda De Giovanni, non è che all’epoca c’erano solo i 15mila napoletani in curva: ce n’erano almeno altri 7-8mila nel resto dello stadio. Ed eravamo imbandierati e sciarpati, ognuno al proprio posto, già due ore prima della partita. Io non c’ero ma ricordo ancora le immagini del TG1 delle 13.30: una bolgia azzurra e mancava più di un’ora al fischio d’inizio.

    Adesso, caro Rafa Benitez, mi rivolgo a te. Che sei persona in apparenza ragionevole come l’Ottavio Bianchi di allora, ma che nascondi l’ardore del combattente, e lo sai che è così: noi abbiamo giocato due volte in quel postaccio, due anni fa abbiamo perso 3-0 e steso un red carpet alla signora dei record (salvo percuoterla nella meravigliosa finale di Coppa Italia); l’anno scorso eravamo pure partiti bene e poi, tra un’indecisione e l’altra, abbiamo fatto segnare prima Caceres e poi Pogba, e di nuovo abbiamo accompagnato con galanteria la vecchia verso il Tricolore. Ora ci sei tu: che sai come controllare la fame di vittoria e farla erompere all’improvviso. Facci fare a pezzi questo tabù. Fai capire a tutti che il Napoli, che ha i tifosi che ha, non può avere paura degli stadi altrui. E a fine partita porta i ragazzi sotto quello spicchietto azzurro a dire che anche se ci danno solo duemila biglietti siamo i più belli di tutti, sempre.

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