Io sto con Gonzalo Higuain. Io sono Gonzalo Higuain

Cosa c'era nelle lacrime di Gonzalo Higuain. C'era la sua napoletanità, il suo amore per questi colori e per questa città. La voglia di credere in un sogno. Ma anche molto, molto altro
  • tuttonapoli

    Boris Sollazzo

    Forse se ne andrà il Pipita. Ma pochi hanno il cuore azzurro come il suo. Uno che può ancora vincere la Scarpa d'oro, che può ancora battere il record di Nordhal, che può spuntare contratti ancora più ricchi di quelli che già gli offrono, oggi ha dimostrato che, a differenza di altri campioni più celebrati, ama la sua squadra più di se stesso.

    Oggi, lui ha buttato la possibilità di ottenere (almeno) le prime due cose. Ma di fronte a un rosso ridicolo, capendo che lo scudetto era sfumato, è esploso. Perché quegli allori personali erano nulla rispetto al Sogno di rendere felice una città. Che lui canta di difendere da mesi. Che il macigno era crollato, nonostante i suoi sforzi sovraumani, e neanche le sue spalle forti, immense sono riuscite a trattenerlo. A sopportarlo.

    E ha pianto. Ha urlato. Ha reagito. Voleva spaccare il mondo. Come dopo Napoli-Arsenal. Perché sapeva di meritarlo allora, come oggi. Perché nessuno aveva giocato meglio del Napoli in quel girone di Champions, perché nessuno ha giocato meglio degli azzurri in questo campionato.

    Ma il Pipita - rimani, Gonzalo, e riproviamoci insieme - ha ragione. A piangere, come noi. A infuriarsi, come noi.

    Io lo so, cosa c'era in quegli occhi disperati. Lo so bene.

    C’era la rabbia di aver toccato il cielo con un dito e aver visto sciogliersi le ali, novello Icaro che si è avvicinato troppo al Sole. Che arroganza pensare di vincere sotto il Tevere. Non è il sole ad avergli sciolto le ali, solo un Potere squallido e meschino.

    C’era la disperazione di aver fatto di tutto, anzi di più. E aver avuto due compagni che hanno fatto miracoli fino a ieri, che hanno regalato due rigori perché appena tornati, stanchissimi, dall’Africa, e una riserva alla sua prima partita in campionato, a regalare un gol decisivo all’altra squadra. Forse il giovane Gabriel non poteva immaginare neanche quanto grande fosse il sogno di Gonzalo, altrimenti non sarebbe andato così molle su quel pallone.

    C’era l’indignazione per aver visto, da mesi e anni, protestare gli altri facendo capannelli intimidatori. Sputando insulti irriferibili alle giacchette nere (e gialle, viola, blu). E chissà quante volte avrà detto ai compagni “reagiamo, facciamo come loro, guardate che carattere”. Già,ma loro possono farlo. A noi ci espellono. Per essere stato cacciato non per aver “imbruttito” fronte contro fronte all’arbitro (sì, per qualche millimetro non si sono toccati), ma per aver urlato, e neanche in macedone, e sbattuto una palla in terra. Dopo un fuorigioco fischiato, e che non c’era. E poi vedere un altro giallo dopo l’ennesimo calcetto di un mediocre boscaiolo, e per una reazione ridicola, quasi ingenua (e ancora devo capirla, quale sia stata).

    C’era la tristezza di chi ha pensato che questo fosse un paese diverso. Di chi al River Plate e al Real Madrid non aveva mai provato la sensazione di essere sempre dalla parte sbagliata. Anzi. Di chi si è chiesto che differenza ci sia tra il fallo su Insigne contro il Genoa nell’area rossoblu la scorsa settimana, e quello di Koulibaly su Badu. Di chi si è visto fischiare un fuorigioco che non c’era e deve aver pensato al connazionale Maxi Lopez. E in fondo, almeno sul giudicare gli offside utili alla Juventus, diciamolo, uniformità di giudizio c’è, eccome.

    C’era, e non bisogna negarlo, che nel momento cruciale l’unico a fare il proprio dovere è stato lui, come sempre. Gli altri non ce l’hanno fatta, schiacciati dal macigno citato da Sarri, dal fatto che fossero pochi e spompati, dalla presunzione di chi non ha valutato che Gigi De Canio non è solo uno dei migliori allenatori su piazza (e noi a Napoli lo sappiamo bene) ma anche uno che negli ultimi due anni, grazie a Goal Show, studiava il Napoli in tutti i suoi dettagli e con l’arguzia e l’intelligenza fuori dalla norma che gli conosciamo. L’ultima volta che eravamo in quello studio televisivo insieme mi faceva notare quanto Sarri facesse bagnare il campo prima di giocare. Indovinate ieri cos’è successo? A dispetto delle direttive della Lega, l’erba non ha visto una goccia d’acqua. Ha curato ogni dettaglio Gigi, e forse si doveva avere rispetto del suo talento e competenza.

    C’era, non lo nego, la tristezza di chi forse sa che sta per andarsene. E voleva salutare diversamente. La rabbia per i Bargiggia, La Stampa e soci che hanno parlato di lui mentendo. Sul suo rinnovo, sulle sue dichiarazioni presunte e mai espresse, per destabilizzare quei ragazzi che come lui non hanno le spalle larghe per sopportare tutto. Di sentirsi al centro di un fuoco di fila.

    C’era l’impotenza. Di chi sa che la Juventus è più forte. Che con tre assenze ha vinto, e tu con una sola hai perso. Che Zaza entra e risolve le partite e Gabbiadini no. Che Rugani sembra Nesta e Chiriches Giubilato. Che Strinic non è Evra. Che 20 vittorie su 21, sono record da Barcellona, da extraterrestri. E va detto. E non gli basta sapere che pure arrivare terzi – perché il rischio è quello Gonzalito, e quello, con la maxisqualifica che ti hanno affibbiato, rischia di essere un po’ anche colpa tua – è un miracolo, viste le premesse di inizio stagione. Perché la falsa partenza bianconera e l’ottusa testardaggine su Rudi Garcia della Roma, oltre al sopravvalutato Mancini, avevano lasciato uno spazio in cui potersi inserire.

    C’era l’ingenua speranza che essere i migliori bastasse. Ma non in Italia, Gonzalo. La tua grandezza è stata che con te, grazie a te, per qualche giornata ci abbiamo creduto persino noi. Sai, c’era riuscito solo un altro argentino, si chiamava Diego. Lui rimase dopo aver perso il secondo scudetto per questioni ancora al centro di troppi misteri. Fallo anche tu.

    C’era il cuore dell’eroe, non la freddezza della macchina, c’era la passione di un uomo capace di cercare l’impossibile, non il campione a orologeria, sempre capace di controllarsi. C’era l’uomo capace di piangere così com’è capace di esultare senza coreografie utili a sponsor, self marketing, egocentrismo.

    C’era la certezza che quel momento di debolezza – compreso, nella sua ingiustizia, persino da un avversario (Badu: a proposito, come mai Danilo non ha subito alcuna sanzione per la sua condotta antisportiva, Irrati sentiva e vedeva solo Higuain?) – sarebbe costato tanto a lui e alla squadra. Perché un gigante come lui deve saper sopportare ogni provocazione. Ma non può.

    C’era Gonzalo Higuain, l’eroe. Che ci ha mostrato perché è il migliore. Non solo perché sa arrivare dove altri neanche immaginano, ma perché come solo i più grandi sanno fare, quando cadono si rialzano più forti. Perché l’uomo che forse perderà l’Europeo per “colpa” sua, Manolo Gabbiadini, di fronte a quel teatrino di Irrati, lo abbraccia come un fratello. Perché Sarri e Hamsik, al suo ritorno, dovrebbero dargli la fascia di capitano. Per dare un segnale a tutti. Perché sarebbe bello se questo trappolone, magari, di fronte all’evidenza fosse costretto a ridursi. E consentirti, Gonzalo, di tornare contro la Roma.

    E lì,dimostrare la differenza tra i nani e i giganti.

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