Higuain: non è un film. E’ il calcio

Non ha esultanze preconfezionate e come tutti i supereroi ai superpoteri unisce grandi fragilità. E il suo popolo lo ama per questo: non per i record o le vittorie
  • di Boris Sollazzo*

    Chiedi a tua mamma chi era Gunnar Nordahl. Portamento nobile, freddezza svedese (soprattutto sotto porta), faccia da divo d’altri tempi. E se gli almanacchi ne celebrano la grandezza con i 69 gol in 74 presenze nelle stagioni 1949-1950 e 1950-1951 – già, nella speciale graduatoria dei più grandi cannonieri in una singola stagione era sia primo che secondo - per capire che campione fosse, che fiuto del gol avesse, è sufficiente dire che nelle sue sette stagioni rossonere non è mai sceso sotto le 23 realizzazioni. E che al primo mezzo campionato con il Diavolo ne fece 16 in 15 partite. Più di lui hanno segnato, in Italia e in serie A, solo Piola e Totti, ma in molti più anni. Fu campione olimpico con la sua Svezia a Londra 1948: lì ne fece appena 7. Ma in quattro match. E che dire di Antonio Valentin Angelillo? Il suo record 33 gol in 33 match (con due cinquine), un exploit mai ripetuto, simile a quello che lo portò a vincere la coppa America in Perù con la sua Argentina nel 1957 mettendo a segno 8 centri (secondo solo a Maschio, 9), è ancora in vigore, essendo stato fatto in un torneo a 18 squadre. Su sponda Inter fece innamorare tutti lo zingaro del gol – così lo chiamava Brera - e poi piangere, quando finì al Milan dove segnò una volta sola. Il tradimento era nella sua natura: con gli altri due angeli dalla faccia sporca Sivori e Maschio abbandonò l’albiceleste per far l’oriundo negli azzurri – demolendo una squadra lanciata verso la vittoria del mondiale che andò invece al Brasile del primo Pelè -, ebbe una vita sentimentale movimentata, ma rimase sempre fedele alla porta. Non le voltava mai le spalle, sapeva sempre dov’era.

    Due ritratti doverosi per capire la portata dell’impresa di Gonzalo Higuain. Che 36 gol in 35 partite li ha fatti in un calcio più difficile, atletico, sfiancante, con una media minuti-reti persino più alta dello svedese e dell’italo-argentino.
    Anche il Pipita è bello, desiderato dai presidenti e da donne bellissime, elegante nelle movenze e implacabile davanti alla porta.
    E anche lui sembra venire da un calcio antico. Gonzalo è un ragazzo raffinato, mamma pittrice, papà ex centravanti che scelse la Francia e una vita di interessi culturali ai divertimenti da bomber. Per farvi capire, suo fratello è stato definito dal suo presidente, Aurelio De Laurentiis “una persona meravigliosa ed educata, come tutta la famiglia Higuain”. In un mondo in cui di solito i parenti procuratori – se si esclude Riccardo Totti – farebbero sembrare Hannibal Lecter un amabile compagno di mangiate e bevute.

    Gonzalo Higuain non ha esultanze preconfezionate, artefatte, utili a far crescere le quotazioni del suo brand. Come Diego Armando Maradona, alla destra del quale ormai siede nel pantheon del San Paolo, si scatena quando vede la palla gonfiare la rete. Salta, allarga le braccia, fa la faccia cattiva o stupita, a volte sorride incredulo abbracciando uno o più compagni, altre muove le mani a voler dire “mamma cos’ho fatto”. E così succede anche a chi lo guarda, sugli spalti. Vari tifosi azzurri, dopo quella rovesciata, avevano le mani nei capelli, piangevano come bambini e ripetevano continuamente “non è vero, non ci posso credere”. E non solo loro, se è vero che la coppia Compagnoni-Adani, su Sky, ha commentato quella rete con parole come “film”, “copione” o, appunto, “non ci credo”.
    Maurizio De Giovanni, scrittore eccelso e cantore straordinario del Napoli (dal primo scudetto narrato mirabilmente in Ti racconto il 10 maggio 1987 e Juve-Napoli 1-3, la presa di Torino, per CentoAutori al bellissimo Il resto della settimana edito da Rizzoli) l’ha definita “la leggenda del gol bambino, bugiardo e innocente, quello del ragazzino che torna a casa e dice sai, mamma, ho segnato il gol della vittoria al campetto ho fatto una rovesciata da fuori area, scusami se il fondoschiena dei pantaloni è sporco e la camicia strappata”. Ecco, Higuain è questo. E’ il giovane supereroe Marvel che insieme ai superpoteri scopre anche le superfragilità. E’ l’impossibile che diventa realtà, è Totti che segna due gol al Torino entrando all’86imo, è Maradona che segna di mano e poi si beve tutti gli inglesi a Messico 1986. E’ la favola di chi non solo fa il record, ma lo scolpisce nell’immaginario con un gesto atletico e tecnico insensato rendendolo l’unico possibile, dopo un passaggio sbagliato e un movimento perfetto. E’ la bellezza di un campionissimo che non ha paura di mangiarsi un gol fatto nella finale dei mondiali 2014. O di sbagliare un calcio di rigore contro la Lazio. E neanche il secondo, contro il Cile. E pazienza se son costati al suo Napoli la qualificazione in Champions l’anno scorso o una Coppa America alla sua Argentina.
    Gonzalo è uno che ci prova: non è la Pulce robot Messi, né l’ingelatinato Ronaldo. Lui gioca quasi sempre in sovrappeso, piange dopo aver fatto 12 punti in un girone in Champions senza qualificarsi, impazzisce dopo l’espulsione che gli toglie lo scudetto che voleva regalare alla città che lo ama, ben più importante della Scarpa d’Oro che, invece, avrebbe vinto se avesse pensato solo a se stesso. E’ l’uomo che ci ha creduto, al suo record, fino alla fine: in serie A, nei primi due anni ha segnato 35 gol. Quest’anno uno in più, in sole 35 partite. E si è fatto così amare dai suoi compagni che quasi perdevano la Champions per ostinarsi a farla mettere dentro a lui.
    Higuain è il bomber che gioca a pallone con Dries Mertens nel cortile della sua casa napoletana, e poi scappa quando la vicina di casa butta un secchio d’acqua dalla finestra perché sono le tre di notte. Higuain è il ragazzo che raggiunto il record, prova a far segnare i compagni, perché lui non è avido. Lui vuole solo vincere, come il sabato pomeriggio tutti noi nella villa comunale o il giovedì sera sul campo di calcetto. Lui è quello che la prima tripletta in stagione l’ha fatta solo all’ultima giornata. Quando serviva.
    Il Pipita è il calcio. Quello che ti fa sbucciare le ginocchia, tuffarti nel fango, ballare al centro del campo alla fine di un Napoli-Frosinone. E che fa urlare il tuo nome a 60.000 persone commosse e innamorate.

    *Tratto da Il Dubbio

    http://www.ildubbio.news/media//DigitalPaper/ildubbio/2016/05/DB1705/DB1705-DUBBIO_14-14.pdf

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