C’è un buco nero nel Napoli e si chiama Marek Hamsik

Lo slovacco è l’ombra del giocatore che fu e la squadra ne risente. Nei momenti duri serve un leader che spinga i compagni. E che urli verso la curva dopo i gol, come faceva il Capitano
  • di Antonio Moschella

    Ormai è chiaro: Hamsik non è più quello di prima. Saranno stati gli infortuni di novembre, la lunga inattività o la mancata qualificazione della Slovacchia, ma Marekiaro continua a non trovare l’uscita dal tunnel in cui vaga perso e sconsolato. Gli tirarono tutti un po’ i piedi a settembre quando, dopo le due doppiette consecutive con Bologna e Chievo, avevano pronosticato una sua vittoria nella classifica dei cannonieri con cifre intorno ai 20 gol. Manco Higuain. Per molti addirittura era il nuovo Gerrard di Benitez. Per fortuna nessuno a Liverpool è venuto a sapere di questo accostamento altrimenti gli incauti autori di quella frase sarebbe stati sicuramente querelati dai componenti della Kop.

    Al Napoli manca tantissimo una figura di spicco che possa tirare la carretta nei momenti decisivi come questo. Al Napoli manca tantissimo Marek Hamsik. La sconfitta di ieri contro la Fiorentina ha palesato questo limite: il giocatore più adatto a trascinare i compagni è Reina e questo la dice lunga. In questo contesto dovrebbe essere proprio Hamsik, capitano per diritto di anzianità, a prendere la squadra sulle spalle. I suoi 7 anni all’ombra del Vesuvio lo dovrebbero aver forgiato nel carattere, eppure lo slovacco sta disputando la peggiore stagione della sua carriera. L’inizio di stagione aveva fatto ben sperare, ma ha finito con l’illuderci. Spesso i gol hanno questo effetto. Marek andava a segno contro le piccole ma nei match di sostanza non incideva, vedi la vittoria in casa col Borussia e quella a San Siro contro il Milan.

    I 5 assist forniti in campionato sono un altro dato ingannevole: è risaputo che il numero 17 azzurro è abilissimo a disimpegnarsi negli ultimi 25 metri, ma ciò che gli manca quest’anno è il poter fare da tramite tra il reparto centrale e quello offensivo, che è ciò che gli chiede Benitez. Per la prima volta in carriera è stato chiamato a giocare da vero e proprio trequartista, con meno compiti difensivi ma con l’obbligo di creare scompiglio tra le linee. Fare da raccordo non è il ruolo che più gli si addice, ma è anche l’unico posto che lo slovacco può occupare nello scacchiere del 4-2-3-1 imposto dal tecnico spagnolo. Eppure Hamsik non solo appare spaesato. I suoi occhi non sono quelli della tigre, sbaglia i passaggi più elementari e non è propositivo come è sempre stato. L’anno scorso l’addio di Lavezzi lo insignì di un’autorità maggiore e il suo rendimento crebbe. Ora che nel raggio d’azione dietro la punta scorazza da solo non trova l’equilibrio interno necessario per giocare come sa.

    Il Napoli finora ha vissuto della prolificità di Higuaín, delle folate di Callejón e Mertens e della solidità di Albiol e Reina, che tengono botta dall’inizio della stagione. All’appello manca, colpevolmente, Marek Hamsik, capitano di una squadra che vive una fase di transizione e che vuole diventare grande, una volta per tutte. Egli stesso ha ammesso di non sentirsi a suo agio e purtroppo il suo malessere è palese, giorno dopo giorno. La soluzione è dentro di lui. È nei momenti difficili che il campione viene fuori. Arrivato quando le pretese erano poche, Hamsik è cresciuto insieme alla squadra che, adesso, pare essere troppo grande per lui. È una questione di responsabilità e di determinazione. Al Napoli ora si chiede molto. L’asticella è stata alzata e il salto in alto lo vogliono tutti, giocatori, dirigenza e tifosi. E per saltare più in alto serve anche la spinta mancata finora, che ha reso la squadra incompleta. La spinta di Marek Hamsik. Quella delle sue urla verso la curva dopo il gol.

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