Ciuccio o cavallo rampante? Questo è il dilemma del simbolo del Napoli

Il nostro esperto, nel giorno in cui i neoborbonici in una conferenza stampa alle 16 a Torre del Greco, presentano la loro proposta di simbolo della società azzurra, ci racconta cosa c'è alla base di questa richiesta
  • di Manfredi "Freddy" Adams

    I neoborbonici, associazione culturale nata per donare radici ad un popolo, quello meridionale, che sembrava averle smarrite autoconvincendosi, alla lombrosiana maniera, che la decadenza post unitaria dipendesse unicamente da un modus essendi, ha proposto agli internauti un sondaggio. Restituiamo il cavallino rampante al Calcio Napoli! «Nel 1926, anno di nascita dell' Associazione Calcio Napoli - afferma il gruppo Neoborbonico - il simbolo della società era proprio il cavallo rampante. La deludente partenza della squadra nel primo anno di vita (retrocessione in B con un fortunoso ripescaggio) fece scrivere ad un cronista che quel cavallo era piuttosto un somaro. Da allora è sparito il cavallo e si è fatto costantemente riferimento all' asino». Adesso che il Club è in pianta stabile tra le prime squadre italiane ed europee a livello di classifica e soprattutto di solidità economica, è ora di ritornare al vecchio simbolo, il cavallo rampante, antico simbolo della città di Napoli.

    Gli stessi napoletani, spesso poco informati del prestigio del proprio passato, contribuiscono involontariamente alla cancellazione dei propri simboli, ed ecco che un episodio sportivo che può capitare a tutti, trasforma l’antico simbolo della città di Napoli in una ironica mascotte.
    Le squadre di calcio hanno tutte una simbologia alternativa che le identifica, magari anche con il solo colore istituzionale della divisa. Se in Europa squadre come l’Arsenal (ad esempio) sono state fondate da un gruppo di persone che lavoravano in un arsenale di Londra, da qui il cannone scelto come simbolo che ricordasse le origini del club, e se in Italia, fra le altre, la Juventus è zebra per via delle strisce bianconere, il Milan è il diavolo per l’associazione cromatica, l’Inter è il biscione perché simbolo dei Visconti di Milano e la Roma è la lupa per la leggenda di Romolo e Remo, che legame c’è tra il ciuccio e il Napoli? Nessuno! I Neoborbonici, da sempre attenti a tutte le tematiche storiche che ricordano i fasti di Napoli Capitale, vorrebbero appellarsi a tutti i tifosi affinché ci si riappropri del nostro vecchio blasone.

    In uno dei suoi straordinari articoli Angelo Forgione spiega in modo eccellente la genesi del simbolo di Napoli e la genesi dei simboli del Napoli. Qui di seguito uno stralcio dal suo blog.

    “Ricordiamo che il primo di Agosto del 1926 nacque l’Associazione Calcio Napoli, antesignana della Società Sportiva. La squadra adottò il colore azzurro per onorare la storia della città e quei Borbone della cui Real Casa proprio l’azzurro capetingio era colore ufficiale. Nel primo stemma compare un cavallo rampante, ovvero il simbolo di Napoli durante il Regno delle Due Sicilie ma anche dell’intero Regno peninsulare Napolitano, mentre quello insulare Siciliano era simboleggiato dal triscele.
    Il cavallo rampante, a sua volta, era stato scelto dagli Svevi come simbolo di Napoli perché rappresentava l’impetuosità del popolo; in tempi antichi Napoli era divisa in “Sedili” anche detti “Seggi” e al “Sedile di Capuana” era presente una statua in bronzo raffigurante un cavallo rampante. Nel ‘200, Corrado IV di Hohenstaufen fallì più volte la conquista della città a causa della resistenza dei Napoletani trincerati dentro le mura. Aprì un varco sotterraneo superando le linee difensive e costrinse i riluttanti alla resa. Vinse e volle dimostrare di aver domato un popolo che difendeva la propria libertà lasciando un segno indelebile sull’emblema della città, la colossale statua del “corsiero del sole”, il cavallo imbizzarrito di bronzo. Ordinò che gli fosse messo un morso in bocca in segno di sottomissione.
    Carlo di Borbone, affascinato da quel simbolo al quale volle conferire ancor più valore, ne fece una vera e propria razza con un’intuizione che nel 1762, nella real tenuta salernitana di Persano, procurò dei puledri frutto dell’accoppiamento tra fattrici orientali e stalloni arabi, andalusi e inglesi ricevuti in dono. Nacque così la pregiata stirpe equina del “Cavallo Persano” che si inserì presto tra i tanti primati borbonici divenendo una delle più rinomate razze al mondo per eleganza, bellezza e morfologia, razza che anche il Goethe decantò nel suo “Viaggio in Italia”. Lo rimase fino al 1874 quando, dopo l’ultima e definitiva invasione del sud operata dei Savoia, la razza del “Cavallo Persano” fu fatta sopprimere per decreto dal nuovo governo intento a cancellare ogni traccia dei primati borbonici. Nel frattempo il cavallo rampante era già stato destituito del suo ruolo di simbolo di Napoli, “scomodo” anche per il suo significato storico e geopolitico, e adottato come stemma della nascente Provincia di Napoli a simboleggiare il declassamento dell’antica nazione Napolitana a rango, appunto, di provincia.

    E cosi con questo simbolo l’Associazione Calcio Napoli con 17 sconfitte e un misero pareggio, finì ultimo nel proprio girone ma un ripescaggio ne scongiurò la retrocessione.

    I tifosi entrano subito nella storia del club finendo per segnarla quando in un bar di ritrovo, “il Brasiliano” poi “Pippone” in via Santa Brigida, uno sconfortato sostenitore azzurro dell’epoca (Raffaele Riano) urla: «Ma quale cavallo rampante?! Stà squadra nostra me pare ‘o ciuccio ‘e Fichella: trentatre piaghe e ‘a coda fracida». Fichella, nelle leggendarie storie di Napoli, era un personaggio che badava ad un vecchio asino con la coda in pessime condizioni, tanto carico di acciacchi da essere pieno di piaghe. A quell’espressione rabbiosa, tipicamente partenopea, fanno seguito le fragorose risate dei presenti che la suggeriscono alla redazione di un giornale umoristico. Nei giorni seguenti, le edicole di Napoli diffondono l’illustrazione di un asinello incerottato e con una miserabile coda.

    Da quel momento, per tutti, il cavallo rampante si trasforma per espressione di popolo in “ciucciariello”, e lo sarà per sempre. Non va dimenticato però, oggi più che mai, che quel ciuccio in realtà era un cavallo fiero, elegante e battagliero, proprio come la tifoseria azzurra vorrebbe sempre la propria squadra del cuore. E invece, per una perversa mentalità di minorità autodeterminata, un simbolo nobile è scomparso per affermarsi nella sua trasformazione più folkloristica, a tal punto da comparire persino sulle maglie del Napoli del grande Rudy Krol della stagione 1982-83, quando la N diventa il corpo del ciuccio sormontato da una testa orecchiuta.

    Circa un decennio prima, il presidente Ferlaino, che si definiva “l’ultimo dei Borbone”, aveva tentato di riaffermare il richiamo storico proponendo sulle maglie lo scudo ornato dai tre gigli borbonici con una “enne” al centro, ma non proseguì nell’intento. Probabilmente fu proprio il pallino per la storia di Napoli a indurre il “presidentissimo” in un errore che arriva ai giorni nostri: dall’arrivo di Maradona, datato 1984, viene adottata una “enne” napoleonica, oggi scevra di ogni orpello e scritta, a richiamare il periodo napoleonico della città e a comunicare all’Europa calcistica un legame con la Francia imperiale lontano dalle radici della città, peraltro caratterizzato da saccheggi e inganni e, anche per ciò, durato soli dieci anni. Ferlaino accontentò probabilmente un desiderio della moglie Patrizia Boldoni, grande appassionata della figura dell’Imperatore a tal punto da mettere insieme una preziosa collezione napoleonica fatta di preziosi oggetti portati in mostra nel 2010 a Napoli.
    Anche la tonalità di azzurro, in origine fedele a quello più intenso borbonico, è divenuta col passare del tempo sempre più tenue, fino al quasi celeste dell’era De Laurentiis poi giustamente rafforzato nell’estate del 2011.

    Aggiungiamo che il rampante cavallo associato alla più pregiata razza di Persano è divenuto uno spelacchiato somarello, e allora possiamo tranquillamente dire che, se è vero che simboli, mascotte e colori delle squadre di calcio comunicano radici e identità del popolo che rappresentano, quelli del Napoli sono purtroppo arrivati a noi distorti e confusi, un po’ come tutta la nostra memoria storica che andrebbe in qualche modo recuperata”.

    Come non essere d’accordo… Sarebbe un briciolo di rispetto in più per la storia non solo del Napoli ma anche di Napoli.

    Il nostro amatissimo Don Ciro di Extravascio ne sarebbe onorato e sono sicuro direbbe:
    “Comme se fa a nunn’essere d’accordo! È ‘na vrenzola ‘e rispetto non soltanto per la Storia del Napoli, ma pure per la Storia, per la grande storia ‘e chesta città!”

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