I "Ritratti abusivi" di Parco Saraceno

Il regista Romano Montesarchio presenta il suo ultimo documentario. Un racconto di un "non luogo" reso possibile anche grazie alla fede per il Napoli.
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di Francesco Albanese

“Ritratti abusivi” è il titolo del documentario del regista casertano Romano Montesarchio presentato all'ultima edizione del Festival internazionale del film di Roma. Un lavoro che narra la vicenda di una comunità sospesa tra precarietà, delinquenza e desiderio di un pronto riscatto sociale. Famiglie di abusivi che popolano un'area destinata ad essere rivoluzionata (dovrebbe diventare un parco turistico) della quale Extranapoli già vi parlò in un precedente articolo http://www.extranapoli.it/rubriche/cera-una-volta-villaggio-coppola-castelvolturno-prima-dellera-de-laurentiis. Parco Saraceno sorge a pochi metri dal campo di allenamento del Napoli a Castel Volturno e proprio la passione in comune per l'azzurro ha permesso al regista di entrare subito in sintonia con i protagonisti del suo racconto.

Da dove nasce lo spunto di un documentario su Parco Saraceno?

Nasce dalle mie origini casertane, il Parco Saraceno si trova sula fascia costiera della Domitiana. Un luogo del quale già mi ero occupato in un mio precedente documentario dal titolo “La Domitiana dove non c'è strada non c'è civiltà”. Quello era un road movie che seguiva la strada fino al basso Lazio, una via antica che nel 95 DC l'imperatore Domiziano volle per facilitare i rapporti tra Napoli e Roma e che in quell'epoca rappresentava un lustro di quella civiltà, mentre oggi è diventata tutt'altro: il massimo delirio che può rappresentare il sud Italia. Già in quella occasione mi colpì molto il Parco Saraceno e la possibilità di raccontare una comunità abusiva, circoscritta, con le sue dinamiche interne. Parco Saraceno poi dista appena 150 metri dalla sede del Calcio Napoli, in “Ritratti abusivi” un personaggio infatti dice che non gli manca niente: finanche il Napoli è per lui a portata di mano dalla sua finestra. Questo aspetto mi aveva colpito molto anche quando da semplice tifoso mi recavo al centro sportivo di Castel Volturno per assistere agli allenamenti della squadra. Ogni volta mi sorprendeva la convivenza ravvicinata di due realtà così diverse: il calcio che è il massimo dell'espressione della ricchezza e dall'altro lato la povertà estrema rappresentata dal Parco Saraceno. La mia è stata una sfida al De Laurentiis presidente calcistico, ma anche al produttore cinematografico di film così diversi rispetto a quelli che abitualmente frequento.

Che tipo di accoglienza hai ricevuto?

All'inizio non è stata delle più felici. Quella del Parco Saraceno è una comunità di persone abusive che ovviamente non ha alcun interesse ad apparire. Sono molto diffidenti nei confronti di qualsiasi media, al pari di molte altre realtà periferiche d'Italia. Ho faticato molto per conquistarmi la loro fiducia. Ho frequentato quel posto per circa un anno senza filmare nulla. Ho cercato di conoscere il più possibile le persone tentando d'istruirle a un certo tipo di racconto. Ho fatto capire che il mio non era un film di denuncia, ma solo un film che intendeva mostrare la loro umanità. A tal proposito cerco di far emergere le strane forme di felicità che possono avverarsi in un posto così degradato. Alla fine sono diventato amico con molti di loro. C'è un aneddoto che mi piace raccontare. Costantino o'mericano, uno dei protagonisti del film, aveva visto il mio precedente lavoro sulla Domitiana e ne aveva anche fatto delle copie abusive per potersele rivendere a pochi euro e di questo mi era grato. La sua influenza nei confronti degli altri residenti è stata decisiva ai fini della realizzazione del doc. Una volta rotto il ghiaccio devo dire che è stato difficile uscirne perchè a quel punto tutti volevano essere filmati ed apparire! Naturalmente una loro delegazione non poteva mancare alla sfilata sul red carpet di Roma.

Hai dovuto fare dei “tagli” dolorosi, magari per ragioni di durata?

Sì inizialmente il film durava un'ora e quaranta, adesso dura un'ora e dieci. Posso avere dei rimorsi su ciò che è stato tagliato, però tutto sommato il lavoro del regista finisce quando tutti coloro che hanno partecipato al film si ritengono soddisfatti.

Ascoltando i racconti sembrerebbe che queste persone abbiano smarrito la speranza.

E' vero solo in parte. Sicuramente l'hanno smarrita nei confronti delle istituzioni che hanno sempre considerato questa gente come cittadini di serie B poiché, in quanto abusivi, non votano nel comune di Castel Volturno pertanto per un sindaco non sono importanti. Ma la colpa è anche del governo centrale che non dovrebbe permettere il verificarsi di situazioni di questo tipo. La speranza è invece integra su valori come quello della famiglia: la propria, ma anche quella del vicino di casa. Le porte degli appartamenti sono sempre aperte ed è difficile capire chi siano i reali genitori dei bambini, perchè te li ritrovi in tutte le case e sono sempre a loro agio. Nonostante l'estremo degrado al Parco Saraceno nessuno è depresso o fa uso di psicofarmaci, questa spesso è una patologia tipica dei quartieri bene delle grandi città.

Hai già in cantiere il prossimo lavoro?

Ne sto preparando due. Il primo è molto legato alla passione che racconta il vostro sito: si tratta di un film documentario che narra alcuni aspetti che girano attorno all'amore per il Calcio Napoli. Per intenderci sarà un lavoro che parla di tutto ciò che avviene durante le partite del Napoli, ma io non guarderò a ciò che avviene in campo. Durante i novanta minuti la mia attenzione sarà sulle persone che guardano la partita. Voglio raccontare la situazione di sospensione che c'è nel corso di quell'ora e mezzo. La città vive tutta la settimana in funzione della partita. Pensiamo ai discorsi tra i tifosi, alle ritualità, c'è chi esce prima dal lavoro. Al fischio d'inizio la città si trasforma. Da caotica diviene calma. Tutto appare molto surreale. Infine sto scrivendo la sceneggiatura del mio primo film di finzione che chiuderà la trilogia della Domitiana: un racconto che si sviluppa sotto terra. Un uomo legato alla criminalità a un certo punto della sua “carriera” si deve rinchiudere in un bunker e da lì comincerà un suo percorso di latitanza.

 

 

 

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