Calciatori gay fatevi avanti!

Lettera aperta di un gay napoletano a chi continua a nascondersi dietro a un pallone. E' tempo di uscire allo scoperto. Hitzlsperger ha iniziato, ora non bisogna fermarsi.
  • dagospia

    di Roberto Solone Boccardi

    Salve, mi chiamo Roberto, e prima di essere costretto a lasciare la mia vita ed i miei affetti in Italia e a fuggire a Madrid per poter costruire un futuro con l’uomo che amo, abitavo a Fuorigrotta, Napoli. Sono cresciuto nello stesso quartiere in cui Fabio e Paolo Cannavaro vivevano e si allenavano. Da piccolo, tutti conoscevano le loro gesta e volevano imitarli. Il nostro era un quartiere difficile, fatto di gente onesta e gente che doveva inventarsi come sbarcare il lunario. Si lottava per sopravvivere, e si godeva di piaceri semplici.

    Nella povertá, anche molti dei desideri piu semplici diventano sogni, perché sembrano irrangiungibili, e si impara cosí a godere con molto poco. Il calcio era al centro della vita dei miei amici, fin da piccolissimi -e nei quartieri poveri di Napoli “piccoli” si smette di esserlo prima che in altri luoghi, o forse solo si finge di esserlo, adulti di 6 o 8 anni. Io peró da quel gioco ero escluso; e lo ero perché vigeva l’idea che nel calcio bisognasse dimostrare e affermare la propia virilitá, giocando a volte anche fino a farsi a male, e comunque mai fino a farsi bene. Io mi innamoravo apertamente dei miei compagni e questo mi rendeva pericoloso. Potevo partecipare in determinate attivitá con loro, peró al calcio no.

    Nel quartiere difficile in cui sono cresciuto, dove l’umanitá è a volte sovvertita dalla disperazione e dalla violenza lasciando vigere solo la legge del piu forte, il calcio diveniva anche un prova di iniziazione, un “rito di passaggio” come quelli descritti dall’etnologo Arnold Van Gennep, per il raggiungimento ed il riconoscimento d’una mascolinitá che richiedeva d’essere in grado di odiare il proprio avversario, e di potersi fidare ciecamente dei propri compagni, a cui si confidava la propia virilitá e, negli spogliatoi, la propia nuditá. Fin quando ci lasceremo guidare dall’omofobia e dall’ignoranza (ovemai le due cose possano essere disgiunte) non potremo accettare che uomini omosessuali giochino con uomini eterosessuali, perché vorrebbe dire accettare che esistono vari modi di essere uomini. Non si tratta solo di paura della sfida, della paura di perdere gareggiando contro “i gay”; si tratta della paura del gareggiare con “i gay”, del fare squadra assieme, del terrore di includere anche agli uomini non eterosessuali in un gioco che finora ha rappresentato il rito di iniziazione di molti ragazzi e bambini in difficoltá ad una mascolinitá patriarcalisticamente intesa come eterosessuale ed eterosessista, oltre che maschilista e stereotipata. Si dice che l’omofobia non sia altro che la paura che un altro uomo ci tratti come noi trattiamo le nostre donne: ed è forse anche per questo che la violenza di genere sulle donne e la violenza omofoba sulle persone non eterosessuali hanno cosí tanto in comune, e seguono una simile evoluzione. Salvare le persone non eterosessuali dall’emarginazione, dall’invisibilitá, dall’esclusione, dalla discriminazione a cui siamo sottoposte salverá anche le donne; ma salverá anche chi ci odia o teme, perché mostrerá la nostra “normalitá”.

    L’Italia è l’unico paese europeo che non offre alcun tipo di protezione né di diritto alle persone non eterosessuali. Prima ancora che dalla Chiesa o dallo Stato, in Italia l’accettazione potrebbe e dovrebbe arrivare dal Calcio, da quei compagni che non volevano giocare con me ma che ora hanno imparato a giocare con quelli come me, perche ci giocano insieme da una vita, vincendo e perdendo e lottando assieme. E da quelli come me, che hanno finalmente realizzato il loro sogno di fare del calcio una professione, oltre che una ragione di vita, e che seppur abbiano paura di perdere tutto, devono trovare il coraggio di farsi avanti e dire la veritá. Lo devono a sé stessi, prima che a tutte le persone che col loro esempio potrebbero salvare: lo devono a quei bambini che furono e che dovettero nascondere e reprimere per non vivere l’infanzia che vissi io. Adesso i tempi sono cambiati. Adesso tutti siamo uno. Insieme possiamo cambiare questo mondo e farne un bel mondo. Possiamo cambiare le regole non scritte del calcio, e fare in modo che sia solo un grande motore di speranza e fratellanza e mai piu di odio, razzismo, sessismo ed omofobia.

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